ANKARA. La Turchia preme per nuovi raid su Kobane, tuona che è necessario inviare truppe di terra in Siria ma deve fare i conti con le proteste in casa, che lasciano almeno 12 morti e decine di feriti sul campo. Oggi era stata indetta dai partiti filo-curdi una giornata di mobilitazione «per Kobane», andata in scena a Istanbul e Ankara ma anche in altre città, da Parigi a Milano. Sulla carta si voleva condannare il «lassismo» turco, con i tank di Ankara posizionati al confine che assistono alla caduta di Kobane senza muovere un dito. Ma è noto che negli ambienti curdi un eventuale intervento turco non è ben visto. Poi gli scontri, almeno due i dimostranti uccisi dai proiettili della polizia, scrive l'agenzia di Stato Anadolu. Nel resto del Paese è il caos: a Diyarbakir, la più grande città a maggioranza curda della Turchia, il bilancio più drammatico con cinque persone uccise. Ma qui e nel resto del Paese la dinamica delle uccisioni è incerta: alcuni media accusano gruppi armati legati al partito di governo, altri gruppi filo-Pkk, altri ancora formazioni «dello Stato islamico». Tutti concordano che non sono state le forze di sicurezza a sparare. In due province e 15 distretti epicentro degli scontri è in vigore il coprifuoco. La tensione è salita negli ultimi giorni, con l'Isis che ha issato le bandiere nere in alcune zone della città, stremata da settimane di assedio, mentre decine di carri armati da combattimento turchi stazionano al confine, 800 metri più avanti. Su Twitter ha spopolato l'appello agli Usa a bombardare le postazioni dei jihadisti, mentre pallottole e colpi di mortaio piombavano anche in terra turca. Un appello che Ankara ha fatto proprio, con il governo che ha fatto pressing su Washington per intensificare i raid, visto che Kobane sta per cadere nelle mani dei jihadisti, ha ammonito il presidente Recep Tayyp Erdogan, che ha fatto appello per un cambio della strategia americana e invitato all'intervento di terra, «i raid non bastano».