HONG KONG. Poche centinaia di manifestanti sono ancora nelle strade di Hong Kong dopo otto giorni di proteste per la democrazia che hanno cambiato per sempre il volto politico dell'ex colonia britannica. Le altre migliaia di persone, in maggioranza studenti, che hanno partecipato ad otto giorni di veglia e di occupazione di alcune delle strade centrali della metropoli si sono ritirate sia per la stanchezza fisica che per le difficoltà degli organizzatori ad articolare una politica concreta per il movimento di protesta. I manifestanti non hanno cercato di bloccare i tremila impiegati che oggi sono tornati al lavoro negli uffici del governo, nè hanno impedito alle scuole medie di riaprire i battenti. La vita dell'ex colonia è tornata ad una sorta di normalità e la stessa Borsa, smentendo le paure espresse da molte parti nei mesi scorsi, è rimasta stabile, facendo anzi segnare un leggero aumento degli scambi. Dopo che per tutto il giorno si sono protratti colloqui con rappresentanti del governo, esponenti della Federazione degli studenti di Hong Kong, uno dei gruppi che ha organizzato le manifestazioni, hanno annunciato di essersi accordati sulle modalità di un dialogo per introdurre riforme in senso democratico del sistema politico. Hong Kong, poco più di sette milioni di abitanti, centro finanziario fondamentale per il sistema economico cinese e per i rapporti della Cina col resto del mondo, è dal 1997 una Speciale Regione Amministrativa (Sar) della Cina basata sull'idea di «un paese, due sistemi» (quello democratico a Hong Kong e nell'altra Sar, quella di Macao, quello autoritario nella Cina continentale) elaborata negli anni Ottanta dall'allora leader cinese Deng Xiaoping. La Costituzione del territorio garantisce che gradualmente verrà instaurato un sistema democratico ma Pechino, che ha l'ultima parola, ha deluso le aspettative imponendo severe limitazioni alle prossime elezioni per il capo del governo locale, che sono previste per il 2017 e che saranno le prime a suffragio universale. «Occupy Central», l'occupazione delle strade in tre punti della metropoli tra cui il quartiere dei ministeri, Admiralty, ha chiesto di rimuovere quelle limitazioni. Pechino ha finora ignorato le richieste ma il dialogo che inizierà nei prossimi giorni potrebbe produrre nuove proposte di compromesso. Anche la seconda richiesta di quello che è stato chiamato il «movimento degli ombrelli» - che sono stati usati sia per proteggersi dal sole tropicale che dal fumo dei lacrimogeni della polizia - quella delle dimissioni dell'attuale capo del governo (chiamato «chief executive»), Leung Chun-ying, è stata per il momento respinta ma gli osservatori ritengono che Leung non abbia un grande futuro politico.