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Le classiche e le tante varianti salate

Appassionati divisi tra quelle «accarne» e le altre «abburro». C’è chi osa con salmone, nero di seppia, gamberi

Non c'è dubbio: dopo quello del Festino, il giorno più atteso dai palermitani appassionati di abbuffate è il 13 dicembre, il giorno di Santa Lucia. Festa connessa all'antico «miracolo del grano», con una lunghissima tradizione alle spalle che, a Palermo, dai digiuni religiosi si è convertita oggi in una altrettanto «sacra» – nel senso più profano del termine – panzata di arancine. Di fatto per i palermitani l'arancina, vero simbolo di identificazione, è cibo sacro. Ci si accapiglia perché si dice arancina con la “a” e ci si divide anche tra appassionati di arancine «accarne» e a «abburro» secondo le popolari storpiature.

Sono i due tipi più diffusi. C’è chi giura eterna fedeltà a quelle «al burro» (in realtà con prosciutto, mozzarella, besciamella) o a quelle «accarne» (con tritato di manzo condito da sugo e piselli).
Ma i tempi cambiano, e i palati, soprattutto quelli dei più giovani, amano sfidare la tradizione con ingredienti e combinazioni nuove. Intanto c’è chi per l'arancina «Accarne» usa il ragù di vitello, nel rispetto dell'originale ricetta araba, altri con utilizzo dissacrante – nel senso vero della parola – mettono invece il suino assicurando un sapore più forte.
Si alternano ricette dal sapore casareccio e soluzioni di cucina internazionale: vedi l'arancina Salsiccia e Friarielli, in onore della regale cucina delle Due Sicilie e omaggio agli usi napoletani. C’è chi invece usa la salsa «pop» all’americana tipo quella usata per le costolette bbq e c’è pure un'arancina farcita con un pulled pork di maialino siciliano. E in questo melting pot culinario trova posto anche la speziata arancina con pollo al curry.

Si tratta di ricette che sintetizzano nell'arancina tutta l'essenza della cucina isolana e si spazia, continuando l’elenco dall’arancina alla Norma, alla pesce Spada, melanzane e mentuccia, o quella al pesto di pistacchio. Un vero e proprio risotto al nero di seppia ospita un ripieno di rosa salmone in un’arancina bicolore che rievoca i colori della squadra rosanero.
Ma non è finita qua. C’è l’arancina boscaiola ai funghi e quella campagnola con profumo di tartufo, quella Cacio e Pepe e quella al Calamaro. Provare per credere.
Neanche a dirlo l’inventiva e le tradizioni delle varie città ne hanno affiancati altri: a Catania si trovano quelle alla Norma con melanzane fritte, sugo di pomodoro e ricotta salata, e quelle al pistacchio della vicina Bronte; nel Messinese vi sono addirittura una trentina di varianti, che comprendono anche il non propriamente siciliano salmone. Ne viene preparata anche una versione dolce, farcita con crema gianduia (o con cioccolato, come avviene a Modica) e spolverata di zucchero al velo.

E le differenze proseguono: nella Sicilia occidentale il riso delle arancine è tinto di giallo con lo zafferano, mentre nella parte orientale dell’isola il colore del cereale è affidato a un po’ di sugo di pomodoro, meno costoso. Qualsiasi versione dell’arancina si preferisca, la sua caratteristica più bella resta sempre il rumore. Lo sfrigolio in cottura, prima, e il croccante morso che rompe l’involucro e svela il contenuto, come in un mistico segreto che stuzzica la curiosità. È così che nasce la magia: dall’attesa, alla fantasia, alla rivelazione per qualcosa che già si conosce, ma che, anno per anno, si aspetta con rinnovato entusiasmo.

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