Il famoso timballo del romanzo Il Gattopardo riuscì a incuriosire l’Italia sulla cucina siciliana. Poi ci ha pensato il commissario Montalbano di Andrea Camilleri a confermare che la nostra Isola, almeno a tavola, non trova rivali. Una delle abbuffate più famose della nostra letteratura e del cinema resta infatti quella del Gattopardo, il film tratto dall’omonimo romanzo di Tomasi di Lampedusa. Basti pensare al «torreggiante timballo di maccheroni » servito a Donnafugata la sera in cui Angelica viene presentata in casa Salina, quando l’involucro di pasta dorata che racchiude un ricchissimo ripieno sembra il trionfante prodotto di venticinque secoli di gastronomia siciliana. Nel timballo le fragranze si mescolano, ne esaltano il « prezioso color camoscio»: realizzabile solo nelle nobili cucine governate dai Monzù, i cuochi siciliani (era questa la moda) che per tradizione perfezionavano la loro arte in Francia. Dall’altro lato c’è l’immancabile commissario Montalbano. Il quale torna a casa la sera, apre il forno e si bea del profumo della pasta ‘ncasciata; oppure di ritorno dalla sua quotidiana nuotata, si sbafa i polipetti al «suco». C’è tutta la Sicilia più autentica tra piatti e posate, affacciata dal terrazzino di Punta Secca del commissario, accoccolata su una sedia di vimini della trattoria di Enzo. Salvo Montalbano - lo sanno tutti quelli che hanno letto i suoi libri - non parla mai durante un pranzo o una cena: prima o dopo sì, ma guai a disturbarlo mentre azzecca la forchetta sulla caponatina.
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