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Lo stile italiano ai tempi della crisi

Milano è andata in passerella in questi giorni. È giunta al termine la settimana della moda che, per ragioni non sempre trasparenti, conta ormai solo su cinque giorni pieni Sfilate, modelle, eleganza, glamour. Ma di cosa parliamo quando trattiamo di moda? Le cifre sono imponenti e fanno di Milano, in quanto capitale italiana della moda, una delle grandi capitali del mondo. Una città dalla quale non si può prescindere.  La moda, infatti, è uno dei pilastri (insieme a meccanica, mobili e agri-business) del "made in Italy". Motivo di orgoglio e di ricchezza per l'intero Paese. Circa 90 miliardi di euro di fatturato nel 2009, pari al 6% del Pil nazionale, una incidenza sull'export pari al 14%. La conferma che il settore del fashion è una delle prime voci attive del saldo della bilancia con l'estero. Le imprese italiane del sistema moda (produzione di tessile, abbigliamento, pelle, pelletteria, calzature) sono almeno 70 mila, circa un decimo delle aziende manifatturiere italiane, e danno lavoro a quasi un milione di persone. Senza contare tutta la parte a valle della commercializzazione all'ingrosso e al minuto. Un settore che dopo due anni di ripresa (+6% nel 2006, + circa 3% nel 2007) ha conosciuto nel 2008 e nel 2009 un frenata piuttosto decisa. Ne sono testimonianza il fallimento di case molto prestigiose come Mariella Burani e le difficoltà di Cavalli, ancora alla ricerca di un compratore, oppure di Prada e Versace che non riescono a trovare le necessarie compatibilità per la quotazione. «Entro la fine dell'anno prevediamo una riduzione di 26-27 mila occupati» avverte Michele Tronconi, presidente del Sistema Moda Italia. La stima potrebbe essere diversa se come spiega Valeria Fedeli, leader della Filtea-Cgil, «si considera tutta la filiera del settore, industriale e artigiano, con cuoio, calzature e occhiali: in questo caso i posti di lavoro a rischio sono circa 80mila su un'occupazione totale di quasi un milione di addetti».
In effetti il fiore all'occhiello del Paese ha preso in pieno tutti gli effetti negativi della recessione. Negli ultimi due anni, tra il 2008 e il 2009, hanno chiuso i battenti quasi 2.000 imprese. Sofferenze che, secondo gli imprenditori del comparto, devono essere alleviate attraverso incentivi. Gli aiuti per il Sistema Moda Italia (la Confindustria del settore)) non possono essere inferiori agli 80 milioni di euro.  Il rapporto finale sul forum Meridiano moda, organizzato, alla vigilia della settimana della moda, da Unioncamere e Italian Textile Fashion, mette in risalto luci e ombre di un comparto che ha un peso economico, sempre secondo l'indagine, secondo solo a quello dell'industria meccanica. Sono svariate le ragioni che fanno del Fashion Style un settore strategico. Basti pensare che la Penisola è al primo posto in Europa per valore della produzione e per occupati.
Resta il fatto che la macchina dell'Italian Style sia ancora la punta di diamante dell'industria nazionale. L'anno scorso, nonostante la recessione, la bilancia commerciale ha fatto registrare un surplus di 16,5 miliardi. Una macchina imponente che, però, non è stata immune alla crisi: nel biennio nero 2008-2009, sulle 5.000 imprese del settore manifatturiero che hanno chiuso i cancelli, ben 1.900 aziende fanno parte del comparto (1.000 nell'abbigliamento e nel tessile e 900 nel calzaturiero). Con un impatto sull'occupazione che, nell'ultimo anno, ha fatto impennare il ricorso alla cassa integrazione, salita del 186%. Gli imprenditori del settore, quindi, spingono affinché il sistema abbia un sostegno da parte dello Stato. L'eleganza che da una settimana sfila per Milano merita, in effetti, un po' di attenzione.

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