Lunedì 23 Dicembre 2024

Esami col ticket, da gennaio si paga tutto: i laboratori chiedono al governo Schifani di ritardare il via alle nuove norme

Una protesta di titolari e dipendenti dei laboratori d'analisi (foto di Alessandro Fucarini)

Ancora un paio di settimane di normalità, poi la maggior parte degli esami e delle prestazioni che oggi si ottengono con una semplice ricetta nei laboratori di analisi e dagli specialisti convenzionati verrà erogata solo a pagamento. E a prezzo pieno. Dal primo gennaio i laboratori di analisi vanno alla protesta più dura. E come loro tutti gli specialisti del settore privato. Il motivo è il varo a livello nazionale di un nuovo tariffario che indica i prezzi delle prestazioni oggi assicurate dal servizio sanitario nazionale. Si tratta dell’aggiornamento del cosiddetto decreto Balduzzi e secondo le principali associazioni di categoria introduce tagli che oscillano dal 20 al 57% a seconda della prestazione. Per citare qualche caso basta dire che sull’emocromo il taglio è del 27%, sugli esami per diagnosticare l’epatite si arriva al 48. E via così anche per le prestazioni di cardiologi, oculisti, fisioterapisti e tutti gli specialisti delle cosiddette branche a visita. A questo punto la risposta delle associazioni di categoria è il passaggio all’assistenza indiretta. Significa che le ricette per le principali prestazioni (per le quali si paga normalmente solo il ticket) non verranno più accettate dal primo gennaio. «I pazienti pagheranno per intero. Per esempio - spiega Nicola Ippolito, presidente di Asilab - l’emocromo costerà 5 euro e così anche l’esame delle urine. Per il Psa si pagheranno sei euro. E via così per tutti gli altri esami. Non possiamo fare altrimenti perché l’alternativa è fallire». La protesta nasce dal fatto che secondo le principali associazioni di categoria il governo nazionale sta tagliando ai convenzionati per recuperare risorse da destinare a nuove prestazioni da finanziare ai pazienti col servizio pubblico, prima fra tutte la procreazione assistita. Il provvedimento del ministero, varato per la verità a fine giugno, è stato impugnato al Tar. E questa mossa mette insieme a livello nazionale tutte le principali associazioni di categoria. In Sicilia però oltre allo scontro giudiziario le sigle del settore hanno scelto di andare in pressing sul governo Schifani, che pur non avendo alcuna responsabilità sulle nuove tariffe si trova adesso a dover gestire una protesta dall’esito imprevedibile. Il Cimest - l’associazione che raggruppa Ardiss Fkt, Arca, Citds, Croat, Sara, Feder Sbv e Siod - ha chiesto ufficialmente al governo Schifani di non recepire il nuovo decreto, lasciando in vigore in Sicilia le vecchie tariffe: «Ci appelliamo al governo siciliano per ritardare l’attuazione del decreto e l’entrata in vigore delle nuove tariffe allo scopo di salvaguardare il diritto alla salute dei cittadini siciliani e le attuali condizioni occupazionali delle strutture accreditate. Sia ben chiaro, dal 1 gennaio centinaia di prestazioni specialistiche non saranno più erogate in convenzione pena il fallimento delle strutture convenzionate e la chiusura degli ambulatori pubblici per impossibilità di raggiungere la parità di bilancio» hanno detto ieri Salvatore Calvaruso, presidente del Cimest, e Salvatore Gibiino, segretario nazionale Feder Sbv.ù È un passaggio delicatissimo. In primis perché il governo Schifani da un anno tratta con il settore dei convenzionati per recuperare la perdita generata dall’inflazione negli anni scorsi (e ciò aveva già dato vita a proteste come quella che scatterà fra due settimane). E poi perché proprio sui privati la Regione sta scommettendo per ricevere un aiuto in grado di abbattere le liste d’attesa. La protesta rischia quindi di riportare pressione sulle strutture pubbliche. Ecco perché la Regione ieri non ha del tutto chiuso le porte all’appello dei convenzionati. All’assessorato alla Sanità si è svolta una riunione nella quale è stato valutato il peso finanziario che sarebbe necessario per rispondere all’appello: «Conosciamo bene i problemi del settore - ha detto il dirigente Salvatore Iacolino -. Ma è giusto dire che non siamo liberi di decidere se recepire o meno il nuovo tariffario. Abbiamo avviato una istruttoria sul caso per capire quanto ci costerebbe restare fermi, visto che dovremmo compensare con fondi regionali la differenza fra le nuove tariffe in vigore in tutta Italia e le più favorevoli che resterebbero attive in Sicilia».

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