In materia di energia (L’Obiettivo numero 7 dell’Agenda 2030), lo scenario globale per i prossimi anni continua a non essere chiaro. Se, da una parte, il consumo di energie rinnovabili, che contribuisce notevolmente al raggiungimento dei target in materia ambientale, è quadruplicato nei Paesi più avanzati tra il 2010 e il 2019, i flussi finanziari internazionali diretti ai Paesi in via di sviluppo sono diminuiti per il secondo anno consecutivo.
Anche in questo caso la crisi per la guerra ucraina ha inciso pesantemente. Da un lato ha fatto letteralmente schizzare i prezzi di petrolio e del gas e questo, secondo un’analisi proposta da Nature, potrebbe portare a scelte più sostenibili da parte dei consumatori. Dall’altro sembra invece che l’effetto sia stato di produrre scelte più inquinanti da parte delle industrie e dei governi che, nel medio termine, e in Paesi a medio-basso reddito sarebbero portati a investire maggiormente in infrastrutture per l’estrazione di gas e petrolio. In sostanza se molti Paesi avanzati dell’Occidente possono investire velocemente in rinnovabili (con beneficio dell’ambiente), e lo stanno facendo, moltissime Nazioni del resto del mondo si sono limitate a estrarre o a importare maggiori quantità di gas e petrolio per fare fronte ai consumi in aumento e all’embargo dei prodotti russi. Secondo l’International Energy Agency (Iea), tuttavia, gli investimenti in energie pulite dovrebbero aumentare di più di 2 trilioni di dollari entro il 2030. In Italia, e in Europa, complice l’approvazione del Green Deal e del pacchetto Fit for 55, gli obiettivi di efficienza energetica al 2030 sono passati dal 9% al 13% mentre, per le rinnovabili la richiesta è di arrivare al 45% del fabbisogno energetico complessivo europeo. Dopo aver registrato un calo dell’1,3% nel 2020, nel 2021 la produzione manifatturiera globale ha superato i livelli pre-pandemici registrando un aumento del 7,2%. Tuttavia, la ripresa rimane frammentata e diseguale con i paesi industrializzati che hanno beneficiato di massicci sostegni economici da parte dei Governi e quelli non industrializzati rallentati da politiche economiche stagnanti e più rigide. Oltre ai consumi di energia sono questi modelli di produzione e consumo insostenibili - la cui trasformazione è al centro dell’SDG12 - tra i fattori che più impattano negativamente sull’Ambiente, sulla perdita di biodiversità, ma anche sull’eliminazione della fame visto che ben il 13.3% del cibo viene perso alla base della catena di produzione mentre un 17% viene sprecato dai consumatori stessi. Questi dati fanno capire l’importanza di lavorare sull’intera catena di produzione dell’energia ma anche sui comportamenti individuali attraverso attività di informazione ed educazione. Ed è anche questo uno degli obiettivi di Agenda 2030.
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