Quasi dodici ore di tensioni, attacchi incrociati, musi lunghi. Poi, l’accordo al fotofinish. L’Ue salva l’unità di fronte al nemico russo sul dossier più difficile, quello dell’energia. Lo fa limando, parola per parola, delle conclusioni che restano abbastanza ambigue da lasciare tutti e 27 soddisfatti a metà ma, per il partito del price cap e del nuovo Sure sull’energia, l’intesa registra dei passi avanti. Tanto che Mario Draghi, lasciando l’Europa Building, sottolinea: «E’ andata bene». L’accordo, infatti, mette nero su bianco «l’urgenza delle decisioni concrete» da prendere sul gas con una serie di misure che includono la piattaforma di acquisti comuni e un nuovo benchmark complementare al Ttf. Il binario da seguire resta quello proposto dalla Commissione il 18 ottobre scorso. Le misure, nel concreto, non cambiano: si va dalla piattaforma aggregata per il gas - volontaria ma obbligatoria per una quota del 15% del volume totale degli stoccaggi in Europa - all’incentivazione delle rinnovabili fino a un price cap al gas nella formazione dell’elettricità. E, sull’applicazione del modello iberico - caldeggiata dalla Francia ma non dalla Germania - che si potrebbe aprire la strada ad un nuovo Sure sull’energia. Nelle conclusioni si domanda alla Commissione di fare «un’analisi dei costi e benefici sulla misura» che, per compensare il differenziale tra prezzo amministrato e prezzo di mercato, comporterebbe un peso eccessivo sui conti pubblici di diversi Paesi membri. Ma l’altra novità che fa sorridere il premier italiano è proprio l’apertura - ancora molto cauta - che emerge su un possibile nuovo debito comune. Tra le misure, infatti, figura «la mobilitazioni di rilevanti strumenti a livello nazionale e Ue» con l’obiettivo di “preservare la competitività globale dell’Europa e per mantenere il level playing field e l’integrità del mercato unico». Una frase che, secondo Palazzo Chigi, dimostra che le proposte italiane siano state accolte. La strada, in realtà è ancora lunga ma ora, forse, se ne intravede la fine. Entro l’inizio di novembre la Commissione «si esprimerà molto chiaramente» sul price cap «e andremo avanti spediti anche sulla solidarietà finanziaria», ha spiegato Emmanuel Macron secondo il quale, su quest’ultimo punto, le opzioni di Bruxelles sono due: uno Sure 2 oppure utilizzare i prestiti ancora disponibili (circa 200 miliardi) oggi nel quadro del RePowerEu, «dando un pò di flessibilità». L’impressione è che i falchi del Nord optino per la seconda strada ma, dalla Germania, dopo mesi di muro qualche concessione è arrivata. E, come prevedibile, a catena anche gli altri ‘frugalì si sono allineati. «Il focus è sui fondi che già abbiamo ma sul nuovo debito vediamo che si può fare...», ha aperto Olaf Scholz lasciando il vertice. Certo a Berlino è stata data più di una rassicurazione: se le riunioni ministeriali delle prossime settimane getteranno un qualche allarme nel governo un nuovo vertice dei leader sarà convocato. Per ora, tuttavia, Ursula von der Leyen e Charles Michel hanno incassato il loro obiettivo: dimostrare che, di fronte alla Russia, l’Ue non è implosa neppure questa volta.