Il telelavoro resterà e porterà con sé nuove opportunità di sviluppo per i territori svantaggiati, ma anche il rischio di un aumento delle disuguaglianze socioeconomiche e territoriali. Compito della politica di coesione nel post-pandemia sarà quindi quello di affrontare le sfide associate all’accelerazione della digitalizzazione.
La transizione digitale
Questa la valutazione che emerge da un working paper dedicato ai flussi migratori e all’economia della conoscenza realizzato dal programma studi Espon, specializzato in indagini regionali Ue. La pandemia ha avuto un impatto negativo sui livelli e i modelli di consumo e produzione in tutto il mondo. Città e regioni europee hanno dovuto affrontare lo choc della crisi sanitaria e delle sue conseguenze proprio quando la digitalizzazione, la crescita dell’economia della conoscenza, i cambiamenti demografici e la globalizzazione avevano innescato dei mutamenti nel mercato del lavoro. D’altra parte, la pandemia avrà delle implicazioni nel lungo termine sull’innovazione, accelerando la transizione digitale e rafforzando la fornitura di servizi digitali. Secondo i ricercatori, questi cambiamenti continueranno a plasmare il modo in cui le persone vivono e lavorano, poiché lo smart working offre una maggiore flessibilità e autonomia lavorativa, un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata e tempi di spostamento ridotti. Il che si potrebbe tradurre in un vantaggio per le aree più periferiche, portando a una distribuzione più equilibrata dell’occupazione e della popolazione.
Lo spostamento verso le zone meno affollate
Vi sono già indizi che vanno in questa direzione: negli Stati Uniti, scrivono i ricercatori, si è registrato un significativo spostamento dei residenti da contee densamente popolate a contee meno affollate. Il telelavoro potrebbe non solo far crescere l’appeal della vita non urbana, ma anche stimolare la domanda di migliori infrastrutture di telecomunicazione e di spazi di co-working. Le stesse attività economiche, specie quelle ausiliari, potrebbero decidere di lasciare i grandi centri urbani per migrare verso aree residenziali. Insomma, un’opportunità che richiede politiche volte ad aumentare l’attrattività di territori meno sviluppati.
Le aree rurali senza banda larga
Durante la pandemia, ad esempio, è emersa la centralità delle infrastrutture digitali per consentire il lavoro da remoto e la didattica a distanza. Eppure nelle aree rurali il 41% delle abitazioni non è coperto dalla banda larga e questo secondo i ricercatori potrebbe spiegare in parte perché lo smart working tende ad essere più concentrato nelle città. Per contrastare l’emergere di nuove disuguaglianze occupazionali e sociali, concludono i ricercatori, le strategie politiche europee e nazionali devono affrontare le implicazioni sociali del ricorso estensivo allo smart working puntando a migliorare le opportunità offerte da tali forme di lavoro e ad aumentare l'inclusione sociale di gruppi e territori attualmente emarginati.