Per le coppie gay che - prima dell'introduzione della legge 'Cirinnà' del 2016 - hanno dichiarato la loro convivenza negli albi di quei Comuni che, con politiche di apertura verso le famiglie 'arcobaleno', registravano le unioni di fatto, non può scattare il diritto alla pensione di reversibilità del partner qualora uno dei due muoia e sia titolare di trattamento pensionistico.
Lo sottolinea la Cassazione - sentenza 24694 - affermando che la legge sulle unioni civili non è "retroattiva" per cui non si può applicare alle coppie gay censite solo negli albi comunali. Questo in quanto - scrivono gli 'ermellini' - "in nessun caso un atto amministrativo", come la registrazione della convivenza nei registri di un Comune, "potrebbe surrettiziamente imporre" a un istituto di previdenza "trattamenti pensionistici coperti da relativa riserva di legge".
Per far scattare il diritto alla reversibilità, occorre che i due partner abbiano pronunciato la dichiarazione solenne di convivenza davanti all'ufficiale di stato civile e alla presenza di due testimoni come prevede la legge Cirinnà. In sostanza non sono "equiparabili" le coppie registrate in base alla normativa sulle unioni civili del 2016 e quelle "che tale registrazione non hanno operato". Così è stato accolto il ricorso di Inarcassa - l'istituto previdenziale di architetti e ingegneri - contro la decisione della Corte di Appello di Milano che aveva dato il via libera alla pensione di reversibilità in favore del partner di un architetto morto poco prima del varo della legge 'Cirinnà'. Per i giudici di merito, le coppie unite dalla legge 'Cirinnà' e quelle registrate in Comune avevano gli stessi diritti.
La coppia, convivente da tempo, era registrata nell'albo delle unioni civili del Comune di Milano e si sarebbe anche 'sposata' con i crismi fissati dalla legge 'Cirinnà' se la morte non avesse spezzato i programmi di Ettore e Rolando. In questa vicenda all'esame della Suprema Corte, gli 'ermellini' osservano che non serve obiettare che "la formalizzazione dell'unione civile non ha avuto luogo solo perché, prima della legge 76/2016, è sopravvenuto il decesso del partner. che presumibilmente si sarebbe avvalso della citata legge, con tutti gli effetti giuridici ivi previsti, optando anch'egli per la scelta di ufficializzare la propria stabile convivenza". Non si tratta di "provare un fatto (l'ipotetica volontà del partner deceduto)" ma, prosegue il verdetto, "di verificare l'esistenza" del necessario 'contratto' "solenne" prescritto dalla legge.
"Affinché si realizzi una unione civile, è indispensabile requisito di legge quello di una formale e consapevole dichiarazione di volontà di entrambe le parti non surrogabile da una convivenza di fatto, pur se da lungo tempo stabile", conclude la Cassazione accogliendo il ricorso di Inarcassa e respingendo la richiesta di Ettore di poter contare sulla pensione del suo compagno venuto a mancare prima che la legge Cirinnà fosse approvata.
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