Chiedere (e ottenere) che la Sicilia venisse dichiarata zona rossa dal ministero della Salute aveva per Musumeci un preciso obiettivo: spostare sul governo nazionale il peso dei ristori a chi è costretto a calare la saracinesca in questi giorni. Togliendo dall’imbarazzo la Regione che ha le casse vuote. Ma ora Palazzo d’Orleans cerca alleati fra gli altri governatori per cambiare i criteri che fino ad ora hanno regolato gli aiuti nazionali, evitando così la beffa per chi spera almeno di veder risarcite le perdite.
È una partita difficilissima - scrive Giacinto Pipitone sul Giornale di Sicilia oggi in edicola - che si sta giocando in questi giorni. Tutti puntano ai 32 miliardi che Conte dovrebbe mettere sul piatto con il quinto decreto Ristori prima di cadere. Ma con le regole attuali il rischio è che vi possano accedere in pochi e per pochi soldi. E alla Sicilia serve almeno mezzo miliardo, probabilmente di più.
Sul piatto l’assessore alle Attività Produttive, Mimmo Turano può mettere sul tavolo subito un tesoretto da 25 milioni e 610 mila euro frutto degli «avanzi» di altri bandi. Si tratta di fondi che erano destinati ad alcune aree della Sicilia: 10,2 milioni a Palermo e Bagheria, 4 milioni e mezzo a Ragusa e Modica, 4,6 milioni a Caltanissetta ed Enna, altrettanti a Messina e un milione e 700 mila euro ad Agrigento. Turano ha scritto ieri ai sindaci chiedendo di avanzare proposte per utilizzare queste somme destinandole proprio ai ristori di chi è stato costretto a chiudere per effetto delle zone rosse e arancione.
Ma 25,6 milioni sono troppo poco per una regione in cui i numeri ufficiali fotografano un’ecatombe di imprese durante il terribile 2020.
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