Per la Cgia, adesso il lockdown va applicato alle tasse. Specie a quelle pagate dagli autonomi e dalle piccole e micro imprese con un fatturato fino a 1 milione di euro annuo che, in assenza di un forte taglio dei costi fissi, rischiano di chiudere definitivamente. Lo sgravio nel 2020 per lo stop a Irpef, Ires e Imu ammonterebbe a 28,3 miliardi di euro. Le ditte individuali, i lavoratori autonomi, i liberi professionisti e le società di persone interessate da questa misura di alleggerimento fiscale sarebbero circa 4,9 mln, pari all’89% circa di tutte le attività economiche presenti nel Paese. In termini di gettito si stima che all’erario verrebbero a mancare 28,3 mld: 22,7 mld di Irpef; 4,2 mld di Ires; 779 mln di imposta sostitutiva versata dalle partite Iva che hanno aderito al regime forfettario e 500 mln di Imu sui capannoni. Dalle attività con meno di 1 milione di euro di fatturato, sindaci e presidenti di Regione continuerebbero a incassare le loro spettanze: 3 mld di Irap, 2,5 mld di Imu, 1,6 mld di addizionale regionale Irpef e 610 mln di addizionale comunale Irpef. Nel complesso, per il 2020 dovrebbero versare alle Autonomie locali 7,7 mld di euro. Per Paolo Zabeo è «un taglio delle entrate molto importante, ma necessario, altrimenti tantissime piccole attività chiuderanno per sempre, causando un buco nel bilancio statale nell’anno successivo». «Solo con un drastico taglio delle tasse e una forte iniezione di liquidità a fondo perduto aggiunge il segretario Renato Mason - possiamo salvare il mondo delle piccole imprese. Altrimenti, rischiamo una moria senza precedenti che desertificherà tantissime zone produttive e molti centri storici di piccole e grandi città. Per evitare tutto questo bisogna intervenire subito». Per la Cgia il modello da imitare è quello della Germania dove le misure anti Covid-19 introdotte per sostenere le piccole e medie imprese hanno raggiunto i 50 miliardi. Le micro aziende fino a 10 addetti, ad esempio, hanno ricevuto nel giro di qualche giorno fino a 15 mila euro di trasferimenti diretti. «Rammentiamo che nelle aziende con meno di 20 addetti lavora, al netto dei dipendenti pubblici e dei servizi finanziari, il 60% circa degli italiani. Meglio allora che ad indebitarsi sia lo Stato centrale che, sicuramente, subirà un forte aumento del debito pubblico, anche se, a seguito delle misure messe in campo dalla Bce e di quelle che saranno introdotte nei prossimi mesi dall’Ue, rimarrà comunque solvibile. Rileviamo che poco meno del 70% del nostro debito pubblico è in capo a banche/assicurazioni, famiglie e imprese italiane. Le famiglie, inoltre, tra risparmi finanziari e patrimonio immobiliare possono contare su quasi 10 mila mld di risorse. Una cifra superiore di circa 4 volte il valore assoluto del nostro debito pubblico».