Con uno spread sopra i 300 punti base, nell'economia reale in Italia sono più a rischio le imprese che le famiglie. Lo rileva la Cgia che ha analizzato la situazione di liquidità delle imprese e il peso dei titoli di Stato e il numero di mutui per l'acquisto della casa. Se circa la metà delle imprese italiane (2,5 mln) ha circa 681 miliardi di euro di prestiti bancari (impieghi vivi relativi a giugno 2018), per contro, solo il 9,3% delle famiglie (2,4 mln) ha un mutuo per l'acquisto della prima casa e un altro 6,1% (1,6 mln di nuclei) detiene dei Titoli di Stato. Sulla base dei dati della Banca d'Italia (aggiornati al 31 dicembre 2017) emerge che l'ammontare dei Bot e dei Cct/Btp in possesso delle famiglie è di 300 mld di euro, mentre è di circa 340 mld di euro l'indebitamento per mutui fatti per l'acquisto della casa. "Con il perdurare di uno spread così alto - spiega Paolo Zabeo - a farne le spese sarebbe tutto il sistema paese, in quanto il costo del debito pubblico, ad esempio, subirebbe un forte aggravio. Al netto delle banche, nell'economia reale, invece, i più esposti in termini assoluti sono gli imprenditori che si troveranno a pagare di più il denaro ricevuto in prestito dalle banche e in prospettiva avranno meno credito a disposizione, perché per gli istituti di credito sarà più difficile erogarlo. La percentuale di famiglie esposte, all'opposto, è molto contenuta, quindi gli eventuali aumenti del costo del denaro e la svalutazione dei titoli di Stato coinvolgerà un numero di famiglie abbastanza contenuto, anche se nel medio periodo la stretta creditizia potrebbe far calare l' offerta di credito e conseguentemente anche la domanda". "In questi ultimi anni - afferma il segretario Renato Mason - è sceso enormemente il credito concesso alle imprese. Dal 2011 a giugno 2018, ad esempio, la contrazione è stata di quasi 249 mld. È vero che in parte ciò è stato dovuto anche al calo della domanda e all'aumento delle sofferenze generate dalla crisi, ma le ragioni principali vanno imputate all'applicazione di regole e parametri di giudizio di merito sul credito imposti alle banche dalla Bce, dalla legislazione europea e italiana che si sono dimostrate essere fuori dalla realtà e fuori dal tempo". Senza banche, per la Cgia, non si può fare economia, specie in Italia. Il nostro Paese, infatti, è fatto quasi esclusivamente da piccole e micro imprese tradizionalmente sottocapitalizzate e a corto di liquidità. Il 98% delle imprese, infatti, ha meno di 20 addetti. Pertanto, il ruolo delle banche rimane centrale sia per dare ossigeno all'intero sistema sia per creare le condizioni per rilanciare con forza la situazione economica che sta rallentando paurosamente. Per questo la Cgia auspica che le banche tornino a fare il loro mestiere, sostenendo e rischiando assieme al mondo delle aziende, in particolar modo con quelle di piccola dimensione. Negli ultimi anni è aumentata a dismisura l'incidenza delle commissioni nette (costi per tenuta conto corrente, i servizi bancomat/carte di credito, i servizi di incasso/pagamento, le gestioni patrimoniali, l'intermediazione e il collocamento titoli, etc.) sui ricavi netti delle banche italiane. Ormai la percentuale raggiunta si aggira attorno al 40%, un livello che non è riscontrabile in nessun altro paese europeo. In altre parole, una parte sempre più consistente del fatturato delle banche è riconducibile ad attività di puro servizio, a scapito del core business: ovvero dell'intermediazione creditizia.