Sui contribuenti italiani fedeli al fisco pesa una pressione fiscale "reale" che si attesta al 48,3 per cento: 6,1 punti in più rispetto a quella ufficiale. E sebbene sia in calo dal 2014, la soglia raggiunta quest'anno rimane ancora "ingiustificatamente" elevata.
E' quanto calcola la Cgia di Mestre. La pressione fiscale ufficiale è data - rileva l'associazione - dal rapporto tra le entrate fiscali/contributive ed il Pil prodotto in un anno; nel 2018, al lordo del bonus Renzi, questa è destinata a scendere al 42,2 per cento.
Tuttavia, se si "toglie" dalla ricchezza prodotta la quota addebitabile al sommerso economico e alle attività illegali che, almeno in linea teorica, non producono nessun gettito per l'erario, il Pil diminuisce (quindi si riduce il denominatore), facendo aumentare il risultato che emerge dal rapporto.
Anche se in calo rispetto agli anni precedenti, il peso complessivo del fisco rimane comunque ad un livello "insopportabile" per la Cgia, che tiene inoltre a precisare che la pressione fiscale ufficiale calcolata dall'Istat (nel 2018 prevista al 42,2 per cento) rispetta fedelmente le disposizioni metodologiche previste da Eurostat.
Per il 2019, infine, la pressione fiscale potrebbe tornare ad aumentare sia perché la crescita del Pil è data in frenata da tutti gli organismi internazionali sia a seguito di un possibile aumento del prelievo fiscale.
Nel caso, infatti, non si dovessero trovare 12,4 miliardi di euro, dal primo gennaio 2019 l'aliquota Iva, attualmente al 10 per cento, salirebbe all'11,5 per cento e quella al 22 per cento al 24,2 per cento. La Cgia fa quindi notare che alla luce delle richieste avanzate da Bruxelles, è molto probabile che per il 2019 si dovrà metter mano ai conti pubblici per quasi 10 miliardi, dopodiché, bisognerà trovare circa 2 miliardi di euro per il rinnovo del contratto di lavoro degli statali, ulteriori 500 milioni di spese "indifferibili" e altri 140 milioni per evitare l'aumento delle accise sui carburanti.
Viste le difficoltà incontrate con il decreto dignità - conclude la Cgia - non è da escludere che almeno una parte di questi 25 miliardi di euro possa essere finanziata attraverso un incremento del prelievo fiscale.
Un'ipotesi che l'esecutivo ha scartato da tempo, ma a cui potrebbe essere costretto a ricorrere in mancanza di alternative.
"Se alle troppe tasse - dichiara il coordinatore dell'Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo - aggiungiamo il peso oppressivo della burocrazia, l'inefficienza di una parte della nostra Pubblica amministrazione e il gap infrastrutturale che ci separa dai nostri principali competitori economici, non c'è da stupirsi, come è emerso in questi giorni, che serpeggi un certo malessere soprattutto tra gli imprenditori del Nordest. Tra le altre cose, a causa di tutte queste criticità continuiamo a rimanere il fanalino di coda in Ue per quanto riguarda gli investimenti diretti esteri".
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