VENEZIA. Con tasse record in Ue e con una spesa sociale tra le più basse d'Europa, in Italia il rischio povertà o di esclusione sociale ha raggiunto 18 milioni di persone, secondo quanto rileva la Cgia.
In questi ultimi anni di crisi - spiega la Cgia - alla gran parte dei Paesi mediterranei sono state "imposte" una serie di misure economiche di austerità e di rigore volte a mettere in sicurezza i conti pubblici. In via generale questa operazione è stata perseguita attraverso "uno smisurato aumento delle tasse, un forte calo degli investimenti pubblici e un corrispondente taglio del welfare state", sottolinea la Cgia.
In Italia la pressione tributaria (peso solo di imposte, tasse e tributi sul Pil) è al 29,6% (2016). In Ue nessun altro paese ha avuto una quota così alta. La Francia, ad esempio, ha un carico del 29,1%, l'Austria del 27,4%, il Regno Unito del 27,2% i Paesi Bassi del 23,6%, la Germania del 23,4% e la Spagna del 22,1%.
Al netto della spesa pensionistica, il costo della spesa sociale sul Pil (disoccupazione, invalidità, casa, maternità, sanità, assistenza, etc.) si è attestata all'11,9%. Tra i principali paesi Ue presi in esame, solo la Spagna ha una quota inferiore alla nostra (11,3% del Pil), anche se la pressione tributaria nel paese iberico è sotto il 7,5% alla nostra.
Tutti gli altri, invece, presentano una spesa nettamente superiore alla nostra. Il rischio di povertà o di esclusione sociale tra il 2006 e il 2016 in Italia è salito quasi del 4%, toccando il 30% della popolazione. Le persone in difficoltà e deprivazione sono passate da 15 a 18,1 milioni. Il livello medio europeo è invece salito dell'1%, attestandosi al 23,1%: -6,9% rispetto alla nostra media. In Francia e in Germania, invece, in questi 10 anni il rischio povertà è addirittura calato e ora presentano un livello di oltre -10% al dato medio Italia.
A livello regionale la situazione al Sud è pesante. Gli ultimi dati disponibili riferiti al 2016 rilevano che il rischio povertà o di esclusione sociale sul totale della popolazione ha raggiunto il 55,6% in Sicilia, il 49,9% in Campania e il 46,7% in Calabria. Il dato medio nazionale ha raggiunto il 30% (+4,1% tra il 2006 e il 2016).
"Da un punto di vista sociale - rileva Paolo Zabeo - il risultato ottenuto è stato drammatico: in Italia, ad esempio, la disoccupazione continua a rimanere sopra l'11%, mentre prima delle crisi era al 6%. Gli investimenti, inoltre, sono scesi di oltre il 20% e il rischio povertà ed esclusione sociale ha toccato livelli allarmanti. In Sicilia, Campania e Calabria praticamente un cittadino su 2 si trova in una condizione di grave deprivazione. E nonostante i sacrifici richiesti alle famiglie e alle imprese, il nostro rapporto debito/Pil è salito oltre il 30%, attestandosi l'anno scorso al 131,6%".
In questi ultimi anni la crisi ha colpito indistintamente tutti i ceti sociali, anche se le famiglie del cosiddetto popolo delle partite Iva ha registrato, statisticamente, i risultati più preoccupanti. Il ceto medio produttivo, insomma, ha pagato più degli altri gli effetti negativi della crisi e ancora oggi fatica ad agganciare la ripresa. "E differenza dei lavoratori dipendenti - osserva Renato Mason, segretario Cgia - quando un autonomo chiude l'attività non beneficia di alcun ammortizzatore sociale".
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