ROMA. Si allarga lo schieramento fatto di banche centrali e autorità che lanciano l’allarme sui rischi delle criptovalute il cui fenomeno continua però, nonostante il calo delle quotazioni, a prendere piede mentre alcuni governi provano a sperimentare proprie valute digitali.
Nelle ultime settimane dopo i moniti lanciati da alcune banche centrali occidentali (la Banca d’Italia ad esempio ha sottolineato più volte i rischi di repentine crisi di sfiducia) anche in Asia si è rafforzato un fronte contrario alle monete virtuali o meglio al suo sviluppo incontrollato. Dopo il picco di 19.600 dollari toccato dal Bitcoin a fine dicembre, le quotazioni hanno subito un calo costante perdendo il 33% ma il calo ha riguardato quasi tutte le altre criptovalute come il Rubble che ha perso solo oggi il 10%. Per alcuni analisti si tratta di un fenomeno che continuerà a causa del proliferare di nuove valute, del perdurare della diffidenza ad accettare in pagamento le valute nonostante alcuni singoli casi (molto pubblicizzati) e della possibile stretta delle autorità governative in tutto il mondo.
Ultima in ordine di tempo a dare un colpo alle quotazioni è stata la Banca centrale di Indonesia che ha messo in guardia dai rischi di uno strumento «altamente speculativo» che può essere usato «per il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo». Nei giorni scorsi le autorità della Corea del Sud hanno affermato di star pensando a un divieto degli scambi mentre anche in Cina si pensa di vietare le attività di creazione della moneta (mining) che, peraltro, assorbono enormi quantità di energia.
Negli Stati Uniti, dove molti del comparto finanziario si sono gettati nel fenomeno, le autorità sono scettiche ma per ora non hanno preso provvedimenti 'draconianì. E se il capo di Jp Morgan Dimon ha parzialmente corretto il suo primo sprezzante giudizio ('è una frodè) il segretario al Tesoro americano, Steven Mnuchin nei giorni scorsi ha detto di star seguendo il fenomeno di concerto con la Federal Reserve. La Banca Centrale Russa sta esaminando una possibile legislazione. Il tema infatti è complesso e la messa a punto di normazione che abbia poi un consenso esteso a livello mondiale appare piuttosto difficile. Il volume delle transazioni è di fatto sconosciuto e quindi il fenomeno resta per la gran parte ancora sommerso.
Poi ci sono alcuni stati che sembrano crederci. Il Venezuela di Maduro alle prese con iperinflazione, scarsità di alimenti e sommovimenti sociali vuole lanciare la sua 'criptovalutà, il Petro, garantita dai barili di petrolio dei suoi giacimenti ma sui mercati c'è molto scetticismo per un paese che molti definiscono di fatto in default. Esperimenti pilota sono invece allo studio in Svezia, Singapore ed Estonia.
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