FRANCOFORTE. Mario Draghi prende tempo sul quantitative easing: la decisione sul prossimo ridimensionamento del programma di acquisto di bond slitta a ottobre. E lo fa spingendosi al limite massimo sul terreno dei cambi: descrive l'euro forte una «fonte di incertezza» che comincia a preoccupare. Ma l’euro, anziché deprezzarsi come ci si sarebbe aspettato, spinta dalla forte crescita europea vola sopra gli 1,20 dollari, la soglia di guardia già raggiunta la scorsa settimana. Che la conferenza stampa di Draghi sarebbe stata orientata a una difesa nei confronti delle pressioni dei 'falchì, era chiaro fin da quando la Bce ha comunicato, assieme ai tassi lasciati invariati, che il quantitative easing può ancora aumentare se dovesse peggiorare il quadro economico: un 'easing bias' che alcuni si aspettavano venisse rimosso, come segnale di un prossimo ridimensionamento del Qe. Draghi ha invece mandato un forte messaggio di cautela sull'addio al Qe nel corso del 2018. L’euro forte - sulla base di una stima di metà agosto a 1,18 che ora è persino superata - "rappresenta una fonte d’incertezza che richiede di essere monitorata» tanto che aumentano i «timori» fra diversi governatori a Francoforte. Per l’effetto depressivo sull'export e la crescita. Ma anche per l’impatto sull'inflazione (un cambio forte diminuisce quella importata), secondo perno del discorso di Draghi, dove la Bce ha operato una significativa revisione al ribasso delle sue previsioni (resta a 1,5% quest’anno, ma scende a 1,2% il prossimo dall’1,3% stimato a giugno, e a 1,5% il 2019 da 1,6%). Tutto ciò a dispetto di una crescita dell’Eurozona che galoppa, con la stima della Bce per quest’anno portata al 2,2%. Con le mosse della Federal Reserve diventate meno prevedibili (l'addio di Stanley Fischer aumenta l’influenza di Donald Trump), il metro su cui misurare per le prossime mosse sul Qe è il cambio euro-dollaro. «E' molto importante», dice Draghi dopo aver premesso la frase di rito secondo cui il cambio non è obiettivo della banca centrale, e la Bce «dovrà tenerne conto». Il presidente della Bce riesce a non rivelare le proprie carte, salvo spiegare che dai comitati interni il consiglio direttivo ha ricevuto vari scenari, che sta valutando, in particolare su variazioni sulla durata dei titoli acquistati e le quantità mensili. «Probabilmente, a meno di rischi che oggi non vediamo, la parte preponderante delle decisioni sul quantitative easing sarà presa a ottobre», è il massimo di impegno che la stampa è riuscita a strappare da Draghi. Ma senza legarsi troppo le mani: la Bce «è restia ad impegnarsi su una data certa». Ed è chiaro che uno strappo dell’euro a livelli troppo alti - molto legato alle decisioni della Fed che si riunisce a fine settembre - potrebbe configurare un fattore di rischio. Non solo: al netto delle pressioni della Bundesbank, e del voto tedesco del 24 settembre che precederà di un mese il consiglio Bce del 26 ottobre, Draghi sta tessendo una tela per ammorbidire il più possibile il 'tapering', l’uscita progressiva dal Qe. Le sue parole su dimensioni e durata fanno pensare a una strategia per evitare, nel corso del 2018, qualsiasi problema di scarsità sui mercati di bond da acquistare, e forse preludono a modifiche nelle quantità massime acquistabili che faciliterebbero un allungamento degli acquisti di debito. Ancora una volta il banchiere centrale italiano ha trovato la quadra nel consiglio Bce. Ma i mercati sanno che per il 'tapering' è questione di tempo. E l’euro, arrivato sulla spinta della forte crescita europea fino a 1,2060 dollari, a un passo dai massimi da gennaio 2015 nonostante lo sforzo di Draghi per raffreddare il cambio, sta lì a ricordarlo.(ANSA).