ROMA. Online si trovano bottiglie anche oltre i 300 euro, nei ristoranti a meno di 35 euro si fa fatica a trovarli. Il quarto colore del vino, l'orange "con un tono di brillantezza un po' opalescente" sottolinea l'Associazione italiana Sommelier, ora affianca le proposte di vini bianchi, rossi, rosati, ma in Giappone, Australia, Francia e Usa è già boom. Cresce l'appeal anche in Italia per questo nettare prodotto da uve bianche attraverso la macerazione prolungata.
Il mosto in fermentazione, spiega Diego Colarich, tra i promotori dell'Orange Wine Festival, "rimane a lungo in contatto con le bucce dei chicchi d'uva, traendo da esse i tannini e il colore arancione con tendenze all'ambra. Il risultato è un vino grezzo, non filtrato, capace di esprimere sentori interessanti che raccontano un lavoro ecosostenibile in vigna, senza alcun uso di pesticidi, e poi nei lieviti in cantina.
I pionieri, due decenni fa, si contavano su una mano tra i Colli orientali del Friuli, Istria e Georgia, ma ora dobbiamo ampliare la sede del Festival, con una edizione in autunno a Trieste, e dalla Puglia ci chiedono scambi e collaborazioni. Prima facevano fatica a far comprendere le qualità, ora il pubblico cerca qualcosa di più e qui trova una produzione 'green'".
Nel gusto tuttavia, osserva l'Ais, ci si allontana da certi canoni di freschezza (intesa come sapore dell'acidità), l'orange ha però una sapidità tropicale o terrosamente salina (come sale di mare). Per i produttori, al momento, l'Italia è l'ultimo mercato, mentre il primo è il Giappone perché questo gusto aspro e soprattutto il retrogusto toglie untuosità al pesce crudo, e risulta quindi un abbinamento ideale per sushi e sashimi. Idem per la cucina brasiliana.
La Francia non produce Orange Wines ma tutti i grandi chef stanno abbracciando questa produzione introducendola nelle carte dei vini a prezzi superano di gran lunga quelli dei bianchi. Fioccano poi gli ordini dagli Usa e dalla Germania.
In Puglia Cantine Imperatore, la prima azienda vinicola a spumantizzare un autoctono come il minutolo, ha chiamato il suo orange proprio "IV Colore". "Ho riscoperto la tradizione degli orange per riproporre - spiega il giovane produttore Vincenzo Latorre - in chiave moderna il vino del contadino. Si tratta di un Pampanuto in purezza, un vitigno tardivo ma che io raccolgo 'verde', a settembre per poi lasciarlo tre settimane sulle bucce e poi una in botte di rovere non tostate. Sono alla seconda vendemmia, appena 2mila bottiglie, ma tutte è sold out, con fan che spaziano dalla California al Nord Europa e nei migliori ristorante di pesce pugliesi".
Il viticoltore di Adelfia (Bari), che dichiara di produrre in assenza di solfiti, ha partecipato alla "Notte degli Orange" organizzata dall'Associazione italiana Sommelier (Ais) prima a Brindisi poi a Firenze. "L'orange non è un vino facile - concludono i sommelier - o scatena grandi passioni o momenti di discussione. Di certo è un nuovo indirizzo di beva".
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