PALERMO. A due mesi dalla chiusura dell’Aras, l’associazione che in Sicilia si occupava dei controlli negli allevamenti, nessun ente ha preso ancora il suo posto. Il risultato è che oltre 15 mila allevamenti siciliani sono entrati nella “zona rossa”, nel periodo cioè oltre il quale, senza certificazioni, vedranno deprezzare i propri animali e potrebbero perdere contributi europei.
Gli ultimi controlli in diversi casi risalgono a fine febbraio e il tempo massimo che per legge può intercorrere tra alcune tipologie di ispezione è di circa 80 giorni, dunque in scadenza. “È una situazione di stallo insostenibile – attacca Confagricoltura Sicilia guidata da Ettore Pottino – l’iscrizione genealogica va fatta ad esempio quando gli animali hanno pochi mesi. Bisogna subito ripristinare il sistema dei controlli, più tempo passa maggiori saranno i danni”.
L’ente che dovrebbe a giorni sostituire l’Aras è l’Aia, che opera a livello nazionale, con la quale l’assessorato guidato da Antonello Cracolici tratta da settimane per provare a salvare tutto il personale licenziato dall’Ars. In Finanziaria intanto una norma ha previsto il trasferimento dei circa novanta dipendenti dell’Aras rimasti presso l’Istituto zootecnico.
Al momento le verifiche sospese non sono quelle prettamente sanitarie ma sono i cosiddetti controlli funzionali, quelli cioè che consentono di certificare la qualità e la purezza dei capi, la quantità della produzione, il fatto che siano razze in estinzione o pregiate e soprattutto che siano autoctone. Tutte caratteristiche senza le quali gli allevamenti perdono di valore e rischiano la chiusura. Oggi intanto è attesa la prima udienza sul fallimento dell'Aras.
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