ROMA. Il tema web tax sembra ormai sdoganato, almeno in Italia. Tanto che al G7 finanziario di Bari, Pier Carlo Padoan, appoggiato da Francia e Germania, è pronto a proporre a tutti i partecipanti una discussione specifica che apra la strada alla condivisione di una tassazione comune dell’economia digitale.
La questione, già al centro in questi mesi di un’analisi attenta degli operatori del settore, è però particolarmente complessa, non solo per la difficoltà di coinvolgere più Paesi contemporaneamente ed evitare così squilibri e disomogeneità dannosi per l’attrattività imprenditoriale di uno Stato piuttosto che di un altro, ma anche per la problematicità della nuova economia. Sotto l’ombrello di web economy si accomunano infatti spesso aziende che di comune hanno ben poco, al di là della piattaforma internet, sulla quale vendono a volte prodotti, altre volte servizi, altre informazioni, altre ancora un patrimonio inestimabile dei dati.
«Non tutta l’economia digitale è uguale anche ai fini della tassazione - spiega il direttore dell’Agenzia delle Entrate Rossella Orlandi - ci sono servizi più facilmente aggredibili, altri per cui bisogna cambiare le regole. Bisogna sezionare il problema e analizzarlo settore per settore». Scegliere un tipo di tassazione tradizionale uguale per tutti non sembra quindi la via più automatica. Soprattutto se si pensa ad un modello di imposta indiretta. «Non possiamo introdurre un’imposta che abbia le stesse caratteristiche dell’Iva o ci prendiamo una procedura. L'Iva è comunitaria», prosegue Orlandi.
Rispetto a pochi mesi fa, quando ancora in sessione di bilancio il governo Renzi levò gli scudi di fronte ad un emendamento alla manovra per una nuova «tassa Airbnb», o rispetto alla ripetuta bocciatura della Google tax promossa da Francesco Boccia, il clima sembra decisamente cambiato. Dal Lingotto Maurizio Martina, spalla di Matteo Renzi alla kermesse torinese, twittava a favore di una nuova tassa internazionale sulle transazioni finanziarie e della web tax. Un modo che permetterebbe, secondo i dem e secondo il governo, di far rientrare i giganti del web nelle maglie del fisco in un’ottica redistributiva e di equità sociale. L’idea non pare del resto dispiacere nemmeno a Padoan, che non ha escluso «un’esplorazione» della materia in vista della prossima manovra 2018.
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