ROMA. Laddove si produce vino, 407 i Comuni associati alle "Città del vino", ci sono più laureati e diplomati e soprattutto più lavoro: nei borghi e nelle comunità del vino il tasso di disoccupazione è di circa 3 punti più basso della media nazionale. E' quanto emerge da "Le Città del Vino ai raggi X, "Libro Bianco" su sviluppo e prospettive dei Comuni a vocazione vinicola presentato oggi al Campidoglio, insieme al presidente di Anci Antonio Decaro, alla cerimonia del trentennale dell'associazione.
Uno spaccato rurale di società italiana, dove risiede l'11,7% della popolazione nazionale e dove si consuma meno territorio, dove spesso la cementificazione trova un argine nella vigna. A spingere l'occupazione, a detta dei 407 sindaci, anche l'enoturismo.
Tra il 2007 e il 2015 i servizi e le strutture turistiche sono in la crescita esponenziale: più 99% contro il 28% del dato italiano "Siamo un modello per ripensare il Paese", ha sottolineato il presidente delle Città del vino Floriano Zambon, sindaco di Conegliano.
I più importanti Comuni italiani a vocazione vitivinicola sono tutti Città del Vino: Barolo, Barbaresco, Marsala, Montalcino, Montepulciano, Scansano, Conegliano, Valdobbiadene, Pantelleria, solo per citare i più noti. "Nei luoghi con una forte identità - ha aggiunto Zambon - si vive meglio, c'è più lavoro, la qualità della vita è più alta. La vite e il vino sono due elementi attorno ai quali si può ripensare una comunità".
All'indomani del primato italiano di nazione più sana al mondo nella classifica 'Bloomberg Global Health Index' su 163 Paesi, le Città del vino si qualificano come luoghi del buon bere e buon mangiare con un ricco paniere di qualità certificata (291 tra Dop, Igp e Stg) e tradizionale (circa 5.000 piatti e Pat iscritti all'Elenco Nazionale del Mipaaf)
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