ROMA. Oltre un'impresa su sei nel commercio ha titolari stranieri, il 18,5% del totale. Secondo l'Osservatorio Confesercenti, ad agosto 2016 le imprese 'etniche' nel settore sono oltre 160mila, con un aumento di circa 7mila (+4,6%) rispetto all'anno precedente. Ma questo boom di aperture degli immigrati non ferma la desertificazione: in dodici mesi, infatti, il settore ha perso quasi 2mila negozi. Le imprese straniere battono quelle italiane anche sul fronte del lavoro con una crescita degli addetti 7 volte sopra la media del commercio (+8,7% contro +1,7%). Alcuni settori vedono una crescita a doppia cifra, come le frutterie non italiane (+11,8%) e i negozi di apparecchiature informatiche e tlc (+11,2%). Nel commercio ambulante, poi, gli imprenditori stranieri sono oramai la maggioranza (il 53,1% con 103 mila attività). «Il dinamismo dell'imprenditoria non italiana nel commercio è un fatto positivo», spiega il segretario generale di Confesercenti, Mauro Bussoni, che vede però «criticità» nel trend di crescita. «Le imprese guidate da titolari non italiani hanno un ciclo di vita notevolmente più breve della media del settore, con oltre un terzo delle attività che chiude entro i due anni dall'apertura», continua Bussoni. Il segretario generale di Confesercenti segnala inoltre come la crescita di imprese a titolarità estera sia concentrata soprattutto nel commercio ambulante, dove presenta «gravi segnali di irregolarità». Dall'analisi delle banche dati Inps effettuata da Confesercenti, emerge che quasi 100mila imprese di commercio su aree pubbliche, di cui l'83% - più di 70mila - a titolarità straniera, non hanno mai versato un contributo negli ultimi due anni. «Una quota elevata - conclude Bussoni - dietro la quale temiamo si nasconda un'irregolarità endemica, sia contributiva che fiscale».