ROMA. In Italia i concorsi pubblici «non sembrano adeguatamente favorire l'ingresso dei candidati migliori e con il profilo più indicato». La sentenza arriva da uno studio condotto da quattro economisti della Banca d'Italia, che parlano esplicitamente di «distorsioni». Procedure bizantine che toccano i picchi a livello locale, dove si assiste al proliferare di bandi, una vera e propria giungla. Tanto che, si rileva nel dossier, «nel periodo 2001-2015, Regioni ed Enti locali hanno bandito quasi 19.000 concorsi per assunzioni a tempo indeterminato, con una media di nemmeno 2 posizioni disponibili per concorso».
Il Paper pubblicato da via Nazionale, sotto il titolo di 'Incentivi e selezione nel pubblico impiegò, mette in fila tutte le «criticità» del meccanismo di reclutamento made in Italy e il primo tra i punti deboli è «l'elevato gradi di rigidita», con «prove scritte e orali, prevalentemente volte a testare conoscenze teorico-nozionistiche».
Gli autori del dossier (Cristina Giorgiantonio, Tommaso Orlando, Giuliana Palumbo e Lucia Rizzica) calcolano che ogni assunto «ha studiato in media circa 5 mesi per sostenere la prova e »oltre il 45% ha solo studiato in quel periodo, non svolgendo altra attività lavorativa". Considerando che nel 2014 ben 280.000 individui hanno fatto domanda per partecipare a una selezione pubblica, si stima che il "costo opportunità per il Paese è valutabile in circa 1,4 miliardi di euro l'anno".
Prezzi salati che "possono disincentivare i candidati più capaci", generando "piuttosto un vantaggio a favore di coloro che hanno più tempo da dedicare alla preparazione della prova (generalmente i non occupati)". Lo stesso effetto deriva dalla prevalenza di quesiti "nozionistici" che può, viene sottolineato nello studio, "inibire la capacità dei responsabili dell'organizzazione di valutare il possesso, da parte dei candidati, di caratteristiche pur rilevanti per le mansioni che saranno loro affidate, quali le ambizioni di carriera e la motivazione intrinseca".
Un ulteriore ostacolo a lavorare nel pubblico sta nelle "lunghe" liste di idonei, "circa 7 candidati" per ogni vincitore, rileva l'indagine. Lo smaltimento di graduatorie con 'riserve' così numerose determina "l'irregolarità della cadenza" dei concorsi, per cui non si ha mai certezza sull'uscita dei bandi.
Fin qui quel che è stato, ora con la riforma Madia le cose dovrebbe cambiare. Le misure previste nella legge delega "appaiono, nel complesso, indicare l'avvenuta individuazione, da parte del legislatore, della problematicità di aspetti analizzati", si riconosce nel Paper. Le novità, dalla centralizzazione delle selezioni alla riduzione degli idonei, vanno quindi in "una direzione coerente" anche se, evidenzia lo studio, "la riforma non pare in grado di incidere su alcuni snodi cruciali".
Il tema è comunque tutto aperto e le scelte finali saranno fatte entro febbraio con il Testo unico sul pubblico impiego. A proposito, la ministra della P.a, Marianna Madia, ha aperto un confronto con i sindacati oltre che sul contratto anche sul reclutamento (prima di Ferragosto ci dovrebbe essere già un incontro all'Aran). Il fronte P.a non sembra così conoscere vacanze, visto che in dirittura d'arrivo c'è il decreto sulle partecipate e il Governo sembra intenzionato a rispettare i tempi, fine agosto, anche per la riforma della dirigenza e il riordino delle Camere di commercio. Entro l'estate sarà pure finalizzata l'operazione mobilità che ha coinvolto gli esuberi
delle ex Province. Il ministero fa sapere infatti che "i dipendenti assegnatari dei posti prenderanno servizio nell'amministrazione di destinazione il primo settembre 2016".
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