MILANO. Salta la quotazione a Piazza Affari della Banca Popolare di Vicenza. Borsa Italiana ha negato l'ammissione alle negoziazioni dell'istituto berico in quanto il flottante non sarebbe stato in grado - spiega la società che gestisce il listino - di «garantire il regolare funzionamento del mercato». Troppo deludenti i risultati dell'aumento di capitale da 1,5 miliardi di euro, con sottoscrizioni ferme al 7,66% dell'offerta nonostante il contributo offerto da Mediobanca, impegnatasi in extremis a sottoscrivere una quota del 5%. Con il 91,72% del capitale in mano ad Atlante, il 4,97% detenuto da Piazzetta Cuccia, il flottante sarebbe stato ridotto al lumicino, suddiviso tra 9 investitori istituzionali che avevano prenotato lo 0,1% dell'aumento, altri 6.673 soggetti che hanno sottoscritto il 2,55% nell'ambito dell'offerta al pubblico indistinto e gli 'azzeratì, i 119 mila attuali azionisti della banca, la cui quota di partecipazione si diluirà dal 100% allo 0,67% e che resteranno gli unici soci a fianco di Atlante. Il fallimento dell'Ipo - su cui ancora giovedì scorso il consigliere delegato Francesco Iorio si diceva «ottimista» - ha spaventato la Borsa, già delusa dall'esito dell'offerta. Il conto più salato l'ha pagato il Banco Popolare (-7,3%), atteso da un aumento di capitale da 1 miliardo per fondersi con Bpm (6,04%), e gli istituti più fragili, Mps (-5,52%) e Carige (-5,33%). «Abbiamo gli advisor che ci hanno coperto» e «un sacco di banche che vogliono partecipare al consorzio», ha rassicurato il ceo del Banco, Pier Francesco Saviotti. Immediatamente dopo la decisione di Borsa Italiana, Quaestio sgr ha confermato che il fondo Atlante metterà gli 1,5 miliardi necessari a salvare la Vicenza (il 35% del suo patrimonio, pari a 4,25 miliardi). Il fondo, che deterrà il 99,33% del capitale, ha confermato che sosterrà «la ristrutturazione, il rilancio e la valorizzazione della Banca, avendo come obiettivo prioritario l'interesse dei propri investitori». La Popolare di Vicenza «è in sicurezza e l'importante è questo», ha detto Federico Ghizzoni, amministratore delegato di Unicredit, la banca che avrebbe dovuto sottoscrivere l'intero inoptato senza l'intervento di Atlante. «L'importante è che la banca abbia capitale a sufficienza per poter lavorare tranquillamente e questo obiettivo è stato raggiunto» mentre il tonfo delle banche dipende dal contenuto ancora «poco chiaro» delle misure varate dal governo per tagliare i tempi di recupero dei crediti. «Il mercato aspetta delle informazioni precise» dopodichè la reazione «sarà positiva». Promuove Atlante anche Ennio Doris, patron di Mediolanum: «ha fatto tutto quello che doveva fare per mettere in bonis» la Bpvi.