ROMA. Un barattolo di miele su due in vendita in Italia è stato in realtà prodotto all'estero, per effetto del record nelle importazioni che hanno raggiunto i 23,5 milioni di chili nel 2015 (+11% sull'anno precedente). È quanto emerge da un'analisi della Coldiretti su dati Istat dalla quale si evidenzia che gli arrivi da altri Paesi nel 2015 hanno raggiunto il massimo di sempre e provengono principalmente dall'Ungheria, con 7,4 milioni di chili, seguita dalla Cina con 4,8 milioni di chili, quasi il doppio rispetto allo scorso anno, e poi dalla Spagna con 2,3 milioni di chili. La produzione in Italia - sottolinea la Coldiretti - ha visto un netto aumento rispetto a un 2014 caratterizzato da un vero e proprio crollo, con quantità stimate per il 2015 che si aggirano sui 23 milioni di chili. «Nonostante la ripresa della produzione Made in Italy - prosegue Coldiretti - c'è tuttavia il rischio di portare in tavola prodotti spacciati per Made in Italy, ma provenienti dall'estero, spesso di bassa qualità e per questo occorre verificare con attenzione l'origine in etichetta, oppure di rivolgersi direttamente ai produttori nelle aziende agricole, negli agriturismi o nei mercati di Campagna Amica». Il miele prodotto sul territorio nazionale - dove peraltro non sono ammesse coltivazioni Ogm - è riconoscibile attraverso l'etichettatura di origine obbligatoria. La parola Italia deve essere obbligatoriamente presente sulle confezioni di miele raccolto interamente sul territorio nazionale, mentre nel caso in cui il miele provenga da più Paesi della Ue, l'etichetta deve riportare l'indicazione «miscela di mieli originari della CE»; se invece proviene da Paesi extracomunitari, deve esserci la scritta «miscela di mieli non originari della CE», mentre, se si tratta di un mix, va scritto «miscela di mieli originari e non originari della CE». Le stesse regole tuttavia non valgono se il miele viene usato come ingrediente, come accade nei biscotti o nel torrone, dove la presenza di prodotto straniero non viene dichiarata in etichetta. Un danno che va sanato - conclude Coldiretti -, poichè colpisce un settore che conta 50mila apicoltori e un giro d'affari di 70 milioni di euro.