PALERMO. Politologo, docente di Storia contemporanea all'Università Luiss di Roma, Giovanni Orsina, autore tra l'altro di una delle più esaustive storie del berlusconismo, «Da Forza Italia alla Terza Repubblica», è un attento osservatore della politica italiana dei giorni nostri, ed è convinto che, a più di tre anni dal suo ingresso in Parlamento e dal suo sorprendente successo elettorale, il Movimento Cinquestelle abbia «esaurito quella che è stata la sua funzione primaria - dice - mettere al centro la questione dell'onestà e dei costi della politica, assorbire in modo democratico la protesta sociale, costringere gli altri partiti a rinnovarsi, tanto da aver avuto un ruolo essenziale, a mio parere, anche nella scalata di Matteo Renzi al Pd e nel suo avvento a palazzo Chigi. Adesso, però - spiega ancora Orsina - credo che per il M5S sia arrivato il momento della verità, perché i miti su cui è stato fondato il suo successo - quello della democrazia diretta sul web, della gente comune in politica, e quello dell'onestà come unico valore importante, a prescindere dalle capacità e dall'esperienza della classe dirigente – si stanno mostrando inconsistenti e incapaci di reggere alla realtà della pratica politica».
Matteo Renzi come principale prodotto del successo del M5S. Non credo che a Beppe Grillo l'idea faccia molto piacere...
«Che sia così è innegabile, la prima iniziale funzione del Movimento Cinquestelle nel panorama della politica italiana è stata quella di costringere gli altri partiti a rinnovarsi e a modernizzarsi, e ciò vale soprattutto per la sinistra italiana che è stata letteralmente costretta a recuperare in gran fretta un enorme ritardo sui tempi storici. E questo è in ogni caso un aspetto positivo, al di là di qualsiasi giudizio di merito su Renzi. Detto questo però, ormai ritengo che questo ruolo del M5S sia fondamentalmente esaurito e che, così per come è ora, il Movimento serva a poco».
Capita spesso però, in politica, che un movimento inizialmente «rivoluzionario» cambi faccia nel tempo anche grazie alla classe dirigente che inevitabilmente intanto si è formata. A volte cambia tanto da perdere se stesso e scomparire, altre volte diventa un vero attore politico con caratteristiche più «classiche».
«Sì, è quello che spesso succede e credo che il punto di svolta per i Cinquestelle sia ormai arrivato, perché se il Movimento cercherà di restare quel che è stato sin ora, si moltiplicheranno le contraddizioni e le difficoltà evidenziate nelle ultime settimane dalla vicenda della Unioni civili ma, se decideranno di mettersi davvero a far politica, allora dovranno rinunciare alla mitologia della democrazia diretta via web e della diversità a tutti i costi e diventare un normale partito politico. E decidere che identità avere, a cominciare dalle questioni base della politica, insomma se sono a destra o a sinistra del Pd di Renzi».
Già, sulle Unioni civili il M5S prima annuncia di voler sostenere il ddl, in linea con il sondaggio tra gli iscritti fatto un anno fa, poi, all'improvviso, anche di fronte ai malumori di molti sostenitori, Beppe Grillo decide di non tenerne conto e di dare libertà di coscienza ai propri parlamentari. Proprio come hanno fatto tutti gli altri partiti. È questo il segno che il Movimento si sta normalizzando e sta diventando un “comune” partito politico?
«La mia impressione è proprio questa. Teniamo presente che il M5S nasce sul web e dal web. Se chiediamo ai pentastellati qual è il loro programma, loro rispondono di non averne uno ma di avere piuttosto un metodo, quello di consultare gli iscritti via Internet su ogni decisione e di atternersi ad essa. La verità è che questo modello, in politica, è un modello impossibile, perché entra in conflitto con le esigenze anche quotidiane della pratica e della lotta politica. Quindi, o si è coerenti sino in fondo e si rispetta quanto deciso in rete, anche se ciò ti porta a perdere voti, ti mette in un vicolo cieco nella tattica e nella strategia parlamentare e così via, oppure, quando fai politica ogni giorno, ti accorgi che questo modello non funziona e ti mette in difficoltà, e allora lo abbandoni. La mia impressione è che sulle Unioni civili sia accaduto esattamente questo, la decisione del web avrebbe comportato un serio rischio di perdere consenso elettorale, e allora Grillo l'ha accantonata e ha fatto marcia indietro».
Ma questo non rischia di «uccidere» la diversità dei Cinquestelle e minarne del tutto l'identità? Se togliamo la «democrazia via web», cosa resta?
«Il problema ed il punto critico è proprio questo. Non si può a lungo mantenere la retorica del M5S e poi la pratica effettiva del Pd o di qualsiasi altro partito. Ma se decidi che la tua natura, la tua “anima” non è più sostenibile perché è impraticabile nella realtà, allora devi diventare un partito, un “normale” partito politico. Ma se diventi un partito a quel punto devi anche decidere cosa sei, qual'è la tua linea politica e quindi devi darti un'identità politica, non basta più solo sostenere che sei semplicemente diverso da tutti gli altri. E poi dovresti costruirti delle regole interne di funzionamento, perché il modello del web è anche un modello organizzativo, ed anche questo ha delle caratteristiche profondamente contraddittorie che rischiano di essere anche ben poco democratiche».
È, ad esempio, proprio quello che sta avvenendo in questo periodo con la selezione per i candidati per le comunali di Roma.
«Esattamente. Si selezionano i candidati dal web, sostenendo che ciò è il massimo della democrazia, ma poi li sottoponi a vincoli tali – multe salatissime, espulsioni se “tradiscono” la linea, etc – sui quali, in realtà, la discrezionalità di Grillo e di Casaleggio è altissima; possono decidere persino se gli assistenti scelti dai candidati vanno bene, decidono loro a proprio arbitrio se sono state violate o meno le regole. Alla fine chi sarà selezionato dovrà semplicemente fare quello che Grillo e Casaleggio decidono».
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