ROMA. «Se vogliamo introdurre il pensionamento flessibile dobbiamo cambiare il Patto di stabilità in Europa, perchè l' introduzione di maggiore flessibilità in uscita peggiora nell'immediato il disavanzo, mentre nel tempo lungo la spesa si riduce visto che con l'anticipo del pensionamento l'importo dell'assegno sarà più basso anche se erogato per più anni. Ma le attuali regole europee non tengono conto di tutto questo. Guardano al debito passato, non al debito futuro, invece è questo che diventerà decisivo a causa della crescita della spesa in protezione sociale che peserà su tutti i bilanci europei per effetto dell'invecchiamento della popolazione. È un aspetto di rilievo che dovrebbe essere considerato da chi ha a cuore la sostenibilità fiscale». Così il presidente dell'Inps Tito Boeri in un'intervista. Per l'Italia «non si tratta di chiedere deroghe al Patto, di strappare margini di flessibilità. Si tratta di introdurre vincoli più stringenti, ma vincoli diversi da quelli attuali. L'Italia ha un livello del debito pensionistico del tutto sostenibile e per questo andrebbe premiata», spiega Boeri. Per l'economista «il pensionamento flessibile è importante ora, non tra due o tre anni. Sarebbe troppo tardi, perchè l'innalzamento repentino dell'età anagrafica per il pensionamento in questi anni di crisi economica ha creato un tappo all'assunzione dei giovani. Oggi il tasso di occupazione dei lavoratori adulti è al 45% e quello dei giovani al 12%. Questo, insieme al blocco delle assunzioni nel pubblico impiego, ha determinato una situazione devastante sull'occupazione intellettuale». Sulla possibilità di ancorare le pensioni di reversibilità all'Isee, «nella proposta dell'Inps per la riforma del sistema previdenziale non c'era niente sulle pensioni di reversibilità. Per due ragioni: non c'è un problema di sostenibilità perchè nel calcolo dell'importo si tiene già conto della speranza di vita del superstite, e perchè è già stata fatta la riforma legata alla situazione reddituale del superstite», dice Boeri, secondo cui «ci sarebbe altro da cambiare: mi pare molto discutibile che cinque miliardi di prestazioni assistenziali vadano al 30% più ricco della popolazione».