PALERMO. È come una molla: quanto più forte sarà la pressione al ribasso tanto più violento sarà il rimbalzo. Questa semplice immagine riassume la dinamica attuale del mercato del petrolio nella visione di Davide Tabarelli, professore all’Università di Bologna e presidente di Nomisma Energia, il più qualificato centro di analisi italiani in campo energetico. Il greggio è sceso a 30 dollari al barile e secondo le previsioni potrebbe arrivare a 20. Che cosa sta succedendo? «L’Arabia Saudita ha deciso di sfidare gli altri produttori. Intanto perché si sente tradita dagli Usa che hanno fatto la pace con l’Iran. Una partita molto complessa in cui giocano antiche e sanguinose rivalità all’interno dell’Islam, ma anche più immediate esigenze economiche. Gli Stati Uniti, attraverso le tecnologie che consentono di estrarre petrolio e gas dalla roccia, hanno raggiunto la sostanziale indipendenza energetica e anzi, dopo mezzo secolo, tornano a esportare. Per l’Arabia abbattere il prezzo del greggio significa rendere poco convenienti le esplorazioni in America. Con l’Iran ci sono altre ragioni legate al fatto che, finito l’embargo, Teheran tornerà sul mercato con un’offerta da un milione di barili al giorno. A fare spazio dovrebbero essere gli altri produttori Opec, riducendo proporzionalmente la loro l’estrazione». Nessuno però vuol farlo: non gli Arabi ma nemmeno gli altri. E allora? «In questo momento nessuno ha voglia di tagliare anche perché la domanda è meno forte di prima a causa della crisi cinese. Negli ultimi anni la produzione saliva fra 1,5 e 1,7 milioni di barili al giorno. Adesso l’incremento è di 1,2 milioni. A questo ritmo l’estrazione di greggio a livello mondiale si andrà a stabilizzare intorno ai 97 milioni di barili al giorno». Una lotta mortale, ma perché non si fermano? «La media del prezzo del petrolio negli ultimi anni è di 32 dollari. Quindi le quotazioni attuali non sono squilibrate. Quello che spicca, rispetto al passato, è la grande instabilità. La caduta dell’ultimo mese verso i 30 dollari, minimo dal gennaio 2004, ne fa parte e conferma due regole fondamentali del mercato: primo, l’unica cosa certa è la variabilità; secondo, più scendono adesso e più sarà forte il rimbalzo. I 30 dollari sono una soglia, storica, quasi psicologica, sulla quale l’Opec aveva affermato il suo dominio sull'economia internazionale dopo gli shock degli anni '70. Il crollo del 1985 a 20 dollari fu una sorpresa ben superiore a quella di oggi, come anche quello del 1998 a 8 dollari. Tornare a 30 dollari per il cartello, che per vent'anni considerava già un successo rimanere sopra i 20, non è una tragedia». Come finirà? «Iran e Arabia Saudita troveranno politicamente conveniente assumere un atteggiamento più responsabile e nei prossimi mesi, forse prima della riunione di giugno, si metteranno d’accordo per far riprendere i prezzi che dovrebbero stabilizzarsi intorno ai 50 euro al barile. Aspettare potrebbe essere anche vantaggioso, per mettere fuori la produzione americana. Ma la produzione Usa è a 9,2 milioni di barili giorno, solo 0,1 in meno di un anno fa. I tagli degli investimenti dell’industria internazionale hanno superato i 250 miliardi di dollari nell’ultimo anno. Tutto ciò muove ovviamente a favore del cartello che, in un modo o nell' altro, continuerà a dirigere i prezzi». Barile a 50 dollari nell’arco di pochi mesi: secondo la sua analisi, quindi, la tregua sui prezzi sta per finire. Fra poco anche per noi la bolletta energetica tornerà a salire. Per l’Italia torneranno le difficoltà. Un percorso inevitabile? «L’Italia, è tradizionalmente il paese più dipendente da importazione di energia dall’estero. Molto simili erano le condizioni di Francia e Giappone ad esempio. Entrambi però, hanno fatto numerosi passi in avanti per ridurre i rischi di un approvvigionamento energetico. In sostanza, hanno iniziato a produrre energia attraverso la tecnologia nucleare, diversificando anche sul carbone, cosa che noi non abbiamo ancora fatto. Grazie alle rinnovabili, la nostra dipendenza energetica è scesa dall’83% al 78%, una percentuale comunque molto alta. Cosa potremmo fare? Prima di tutto insistere sulle fonti rinnovabili, ma senza elargire ulteriori incentivi. Fino ad ora sono stati troppo onerosi per lo Stato. Dovremmo iniziare anche a diversificare di più gli approvvigionamenti, oltre che a sfruttare maggiormente le nostre risorse naturali, come il petrolio e il gas che abbiamo ancora in abbondanza». Però c’è la crociata dei “no triv” che addirittura vogliono arrivare al referendum per bloccare la ricerca. Che cosa ne pensa? «Ho molto apprezzato l’atteggiamento del presidente Crocetta che non ha allineato la Sicilia all’iniziativa di altre Regioni che vogliono bloccare le ricerche. La produzione di petrolio e gas in Italia potrebbe raddoppiare grazie all'abbondanza di riserve, ai bassi costi di produzione e alla volontà delle compagnie di investire subito circa 5 miliardi di euro. Le riserve di gas e petrolio sono dello Stato e pertanto di tutti gli italiani e l'obiettivo deve essere di favorirne la valorizzazione a beneficio di tutti i cittadini. Il raddoppio della produzione a 24 milioni di tonnellate comporterebbe maggiori entrate, in termini di royalties (cioè la parte del ricavo dato allo Stato per lo sfruttamento delle riserve ai privati) e di tassazione dei profitti, dell'ordine di 1,5 miliardi che si aggiungerebbero all'attuale miliardo». Ancora una domanda, quella classica: come mai il prezzo del petrolio è sceso del 70% ma il pieno è sempre caro? «Per colpa delle tasse. Circa il 69% del prezzo alla pompa va allo Stato. Le tasse dal 1999 a oggi sono salite del 40%. Per vedere scendere in maniera importante il prezzo della verde sarebbe necessario che lo Stato rinunciasse a una parte consistente dei suoi introiti». Ultimo interrogativo: voi avete calcolato un prezzo ottimale per la benzina e il diesel. Però il consumatore alla pompa non vede una trasparenza così elevata. Anzi la colonnina cresce molto quando il greggio sale. Al momento di scendere però resta immobile. Che cosa ne pensa? «Il nostro prezzo ottimale oggi è di 1,39 euro per la verde e 1,25 per il diesel. È un valore che tiene conto di tutto: delle quotazioni internazionali dei prodotti raffinati. Ai costi di distribuzione, marketing e anche dei margini delle compagnie e dei distributori. Ovviamente calcoliamo anche le tasse. Posso dire che queste polemiche sulla asimmetria delle reazioni sono veramente pretestuose. Una trovata buona per le associazioni dei consumatori in cerca di pubblicità. Le posso assicurare che a fine anno i valori alla pompa si allineano alle variazioni del barile. I petrolieri sono gente seria: operano in Italia da decenni e contano di farlo ancora per i prossimi. Non si mettono a fare scherzi sui centesimi».