ROMA. Le famiglie italiane tornano a respirare. I portafogli hanno ricominciato gradualmente a riempirsi e i consumi sembrano finalmente essere ripartiti. I segnali ci sono tutti e quelli arrivati dall'Istat sul terzo trimestre confermano come il 2015 si appresti a diventare un vero anno di svolta. Per una fase, ha sottolineato il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan, che non sarà "passeggera" ma porterà "crescita più sostenuta e favorevole per il Paese". L'ingranaggio sembra infatti marciare nella direzione giusta anche sul fronte dei conti pubblici. Il deficit mostra progressivi segnali di miglioramento, attestandosi al 2,9% nella media dei primi tre trimestri ed avviandosi a chiudere l'anno in linea con le previsioni del governo (2,6% del Pil). Le entrate dei primi 11 mesi sono schizzate del 9,2%, grazie soprattutto all'anticipo dei versamenti per autoliquidazione di Irpef e Ires, ma facendo comunque incassare allo Stato quasi 33 miliardi in più rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente (di cui 13 solo di Ires). Sommati agli ultimissimi dati positivi sul mercato del lavoro, i dati snocciolati dall'istituto di statistica contribuiscono a dimostrare univocamente, secondo Padoan, che "le riforme funzionano" e che l'Italia "usa bene la flessibilità". Non solo, Roma chiede di sfruttare tutte le clausole europee perché "ha tutte le carte in regola" per farlo e per saperle usare ancora "al meglio", per spingere la crescita. Parole che suonano come una risposta, con 24 ore di ritardo ma corredata dai numeri, al richiamo del presidente dell'Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem, che - nell'infinito tira e molla tra Roma e Bruxelles sull'utilizzo delle clausole di flessibilità Ue - ha richiamato il governo italiano a non esagerare. Governo e maggioranza intanto però esultano. Nel terzo trimestre dello scorso anno, il potere di acquisto delle famiglie è aumentato dell'1,4% rispetto al trimestre precedente e dell'1,3% sullo stesso periodo luglio-settembre del 2014. Una percentuale che non si vedeva da otto anni, esattamente, in base alle serie storiche dell'Istat, dal secondo trimestre 2007. Non a caso, grazie anche ad un'inflazione praticamente nulla che ha evitato l'erosione dei salari, il reddito disponibile è cresciuto dell'1,3% rispetto al trimestre precedente e dell'1,5% nel confronto con il corrispondente periodo del 2014. La maggiore disponibilità finanziaria ha permesso da un lato di accrescere la spesa familiare (+0,4% su base congiunturale e +1,2% su base tendenziale) e dall'altro di aumentare la propensione al risparmio. Le famiglie sono tornate a mettere qualcosa da parte proprio perché il reddito a loro disposizione è cresciuto più di quanto non sia aumentata la spesa. Neutralizzando così anche il lieve aumento della pressione fiscale. Sempre nel terzo trimestre, in attesa quindi degli sgravi che - a partire dalla tassazione sulla casa - arriveranno nel 2016, il peso del fisco è infatti salito al 41,4% (+0,1 punti percentuali) rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, stabilizzandosi invece nella media dei primi tre trimestri al 41,2%, stesso livello del medesimo periodo del 2014. Al contrario del mondo politico, i dati non bastano a far cantare vittoria ai consumatori, che parlano di strada ancora lunga per far tornare le famiglie ai livelli pre-crisi, anche se l'unica nota stonata della giornata arriva dalle imprese. A non ripartire sono infatti gli investimenti, "seconda gamba" essenziale per far riprendere concretamente l'economia. L'Istat segnala infatti come tra luglio e settembre il tasso di investimento delle società non finanziarie sia sceso al 18,8%, con una diminuzione sia in termini congiunturali che tendenziali.