PALERMO. Nella ricerca del «Sole 24 Ore» sulla «qualità della vita» nelle province italiane, l’unico neo è rappresentato dal titolo, che per alcuni risulta fuorviante. La ricerca non si basa infatti sulle piste ciclabili, sul verde cittadino o sulla puntualità del bus, come magari potrebbe indurre a pensare il suo titolo, ma ricomprende «anche» queste informazioni, all’interno però di un grande paniere con decine di indicatori. Se qualcuno contesta il secondo posto in classifica generale di Milano, ritenendolo incompatibile con l’altissimo livello di inquinamento locale, trascura di considerare che, se a Milano si respira male, la combinazione degli altri indicatori, ad esempio, sugli importi delle pensioni, sui posti per bambini in asilo, sul turismo ospedaliero, su scippi e borseggi, sulla fruizione di spettacoli, sul numero delle librerie, sulla emigrazione o sulla spesa turistica, portano il capoluogo lombardo alla piazza d’onore. In ogni caso, 36 diversi indicatori offrono una rappresentazione puntuale dello stato delle cose e ripropongono l’immagine di un’Italia spaccata in due, con le città piccole e grandi del centro-nord stabilmente inserite nelle zone alte della classifica e le città piccole e grandi del sud puntualmente relegate in coda. Questo esito induce a riflettere sulla condizione del sud, tanto nella valutazione delle politiche statali quanto nel dispiegarsi degli interventi locali (regioni e comuni). È fuor di dubbio la crescente marginalità dei territori meridionali nella strategia statale degli ultimi decenni. In qualunque modo lo si consideri, il sud arranca nelle politiche meridionalistiche e, quindi, nei parametri di crescita e sviluppo. Se il reddito di un valdostano è più che doppio di quello di un siciliano, non sorprende poi che la mortalità dei bambini sia purtroppo drammaticamente più alta in Sicilia rispetto alla Val d’Aosta. Anche l’ultima legge di stabilità, ormai prossima al varo definitivo, non brilla per il volume delle risorse messe in campo a favore del Mezzogiorno. Ha del miracoloso la concentrazione nel sud di sette dei dodici miliardi spendibili per infrastrutture nel 2016, come anche il credito di imposta riservato alle Pmi meridionali che investono. Ma non è la svolta che serve. Resta basso il livello di attenzione per il sud a livello statale, ma latitano del tutto lo spirito e la capacità di iniziativa delle politiche locali; dopo la storica riforma delle regioni italiane, che tanti poteri ha dato a tanti pro-consoli locali, la dispersione della ricchezza, attraverso politiche redistributive improntate alle clientele ed all’assistenzialismo, ha lasciato segni indelebili. Lungo questa linea le regioni a statuto speciale hanno perso ulteriori battute. Il Paese ed il Mezzogiorno hanno urgente necessità di investimenti e di riforme; per le seconde manca il coraggio di aggredire i centri di interessi, per i primi mancano invece le risorse. Soltanto una guerra senza quartiere all’evasione fiscale, segnala Confindustria, potrebbe soddisfare il bisogno di capitali spendibili al di fuori di un ulteriore indebitamento. Ma anche in questo caso le resistenze sono e saranno altissime.