PALERMO. L’Italia non investe sull’Università. Per la prima volta nella sua storia, negli ultimi anni il sistema universitario italiano è diventato significativamente più piccolo di circa un quinto. Rispetto al momento di massima espansione (2008), oggi gli studenti immatricolati si sono ridotti di oltre 66 mila (-20%); i docenti sono scesi a meno di 52 mila (-17%); il personale tecnico amministrativo a 59 mila (-18%); i corsi di studio a 4.628 (- 18%); il fondo di finanziamento ordinario delle università è diminuito, in termini reali, del 22,5%. L’ Italia ha dunque compiuto, nel giro di pochi anni, un disinvestimento molto forte nella sua università. Si tratta di una trasformazione opposta a quelle in corso in tutti paesi avanzati.
Anche l’obiettivo Europeo di raggiungere, al 2020, il 40% di giovani laureati sembra decisamente fuori dalla nostra portata: l’Italia è con il 23,9% all’ultimo posto fra i 28 stati membri. Sud, tendenze negative più marcate. Le tendenze negative sono assai più intense per gli atenei del Centro-Sud, con punte particolarmente drammatiche nelle Isole. «Si va disegnando – si legge nel Rapporto - un sistema formativo sempre più differenziato fra sedi più e meno dotate (in termini finanziari, di docenti, di studenti, di relazioni con l’esterno), con le prime fortemente concentrate in alcune aree del Nord del paese.
Le nuove regole di governo del sistema stanno accentuando questa biforcazione». Oltre il 50% del calo degli immatricolati è concentrato nel Mezzogiorno (-37.000 dal 2003-04 al 2014-15); maggiore è la quota di studenti che abbandona gli studi universitari dopo il primo anno (il 17,5% al Sud, contro il 12,6% al Nord e il 15,1% al Centro). Inoltre, il tempo medio di completamento di un corso triennale è 5,5 anni al Centro e al Sud, e 4,5 al Nord. La diminuzione del personale docente di ruolo è stata del 18,3% nel Mezzogiorno, a fronte dell’11,3% al Nord e del 21,8% nelle università del Centro.
Crescita degli studenti che si iscrivono nel centro-nord. Sicilia: un terzo degli studenti “emigra”. La mobilità studentesca può essere un fenomeno positivo: rappresenta un’esperienza di vita indipendente, consente la scelta del corso di studio più adatto. Il drammatico problema dell’Italia è che questa mobilità è a senso unico, da Sud verso Nord. Il 30% degli immatricolati meridionali si iscrivono nelle Università del Centro Nord.
In Sicilia ormai quasi un terzo degli immatricolati “emigra” a fronte di meno di un sesto nel 2003-04. Diritto allo studio e servizi agli studenti: poche borse di studio nel Sud e nelle Isole. Alla base di questi trasferimenti vi sono diverse motivazioni, fra le quali la ricerca di un corso di studio con maggiori opportunità di inserimento nel mercato del lavoro fuori dalla Sicilia e dal Mezzogiorno. Influisce anche la scarsa disponibilità di borse di studio e di servizi per gli studenti nelle regioni meridionali.
Nel 2013-14, nelle regioni del Sud continentale circa il 40% degli idonei non riesce a beneficiare della borsa per carenza di risorse; la percentuale arrivava al 60% nelle Isole. Il meccanismo di finanziamento del diritto allo studio non è evidentemente in grado di garantire il diritto all’istruzione dei “capaci e meritevoli anche se privi di mezzi” (art. 34 della Costituzione) e finisce per sostenere meno gli studenti delle famiglie disagiate del Mezzogiorno anche per responsabilità delle regioni.
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