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Masia: cittadini disillusi e disgustati da politica, partecipazione in calo costante

ROMA. Speranze, paure. Tempo di scelte cruciali e obbligate per i Governi, per i Parlamenti. Neppure questo, però, serve a riaccendere la passione degli italiani per la politica: «Tutti i dati dimostrano che la partecipazione è in calo», afferma Fabrizio Masia, sondaggista e direttore di Emg Ricerche. «Anche le ultimissime intenzioni di voto — spiega — rivelano questa tendenza. Oggi, andrebbe alle urne il 57,8 per cento degli elettori. Alle Politiche di due anni fa si raggiunse il 75,2. Tutto ciò, poi, è confermato dalla clamorosa riduzione delle tessere dei partiti. E neppure i sindacati, da questo punto di vista, mi pare che vivano un momento particolarmente fulgido».

Cittadini sempre più distanti, sempre più rassegnati a lasciare che la «casta» decida in beata solitudine?
«Soprattutto, cittadini disillusi. Si è forse definitivamente arrivati all'amara certezza che le scelte fatte alla base faticano a raggiungere i livelli più alti. L’idea dell’astensione, della non partecipazione, va quindi bene perché non troviamo riscontro nel momento deliberativo».

Disinteresse e disgusto. Così è, se vi pare, l’atteggiamento degli italiani verso i partiti?
«Sì. Le nostre indagini sulle intenzioni di voto sono spesso precedute da una domanda sull’atteggiamento dell’elettorato verso la politica e notiamo come continui ad aumentare, almeno a livello tendenziale, il numero di italiani che si dichiarano disgustati o disinteressati. I primi sono oggi al 25,3 per cento, i secondi al 24,2. Quasi la metà. È chiaro, poi, che in queste condizioni si fatichi a trovare la voglia di partecipare al processo decisionale».

Siamo al trionfo dell’individualismo, o la passione civile resiste e si manifesta altrove?
«In un Paese come il nostro, l'individualismo è ormai ai massimi livelli. Sia pure in misura più ridotta rispetto al passato, però, esiste ancora la ricerca di spazi di partecipazione e condivisione. Oltre al volontariato, parlo dei social e dei blog. In questo momento storico, non sono determinanti nel dibattito politico ma aiutano. E diverranno, evidentemente, un canale di comunicazione privilegiato, se non addirittura preferenziale».

Centrodestra, centrosinistra: schieramenti «contro». Ma quanto attrattivi?
«I poli sono ormai tre, non più due, perchè il Movimento Cinque Stelle da alcuni anni ha un peso rilevante. Ad ogni modo, i partiti di centrodestra e centrosinistra valgono più o meno il 65 per cento dell’elettorato attivo. Cioè, di quanti vogliono andare a votare. Considerato che questi sono oggi abbondantemente al di sotto del 60 per cento, ciò vuol dire che solo il 35 o il 40 per cento degli italiani si riconosce in categorie come centro, destra, sinistra, centrodestra e centrosinistra. Una minoranza sempre più modesta del Paese».

Le coalizioni perdono fascino. Un motivo, almeno uno, per apprezzare la nuova legge elettorale che premia la singola forza politica, non i raggruppamenti?
«Sì, ma esiste anche il rischio di perdere ulteriormente elettorato. Se ci si rende conto che il proprio voto sarà ininfluente ai fini della composizione parlamentare, se non ci si riconosce in quelle due o tre liste che potranno vincere, allora la tentazione di restarsene a casa diventa forte. Possibile, quindi, che l’astensione sia molto alta e che alla fine prevalga una forza politica all'interno di un complesso di votanti molto ridotto, diciamo il 50 per cento. In questo modo, otterrà la maggioranza un partito con un 30 per cento che in effetti nel Paese vale la metà. Una forzatura a livello di rappresentanza».

Aumentano i «non collocati». Serbatoio per il Movimento Cinque Stelle o per cos'altro?
«Questa è una tendenza che rileviamo ormai da tempo. Oggi, i "non collocati" sono il 46,3 per cento. Un numero crescente di italiani, ribadisco, non si riconosce più in categorie tradizionali come destra o sinistra. In questo segmento, si annida una grande parte di elettori del M5S ma il 70 per cento non va proprio al seggio. Le intenzioni di voto per i Cinque Stelle, comunque, sono in questo momento al 28 per cento: se il dato fosse confermato al momento delle elezioni, sarebbero al loro massimo storico».

A proposito di astensionismo e di antidoti alla fuga dai seggi. In un'intervista al «Giornale di Sicilia», Giuseppe De Rita ha affermato che i cittadini vedono il Comune come unico luogo in cui possono decidere: una percezione testimoniata anche dalla moltiplicazione delle liste civiche. D’accordo?
«In gran parte, sì. Mentre a livello nazionale e regionale esiste una certa distanza tra decisione e fatto concreto, in ambito comunale i risultati dell’azione amministrativa sono sotto gli occhi di tutti e riguardano il quotidiano delle persone. L’aumento delle liste locali dimostra che la politica vuole essere vicina alla "civitas" per trasformare una serie di idee in atti pratici, senza ideologie di sorta alle spalle. In questo momento storico, insomma, regna il pragmatismo!».

Oltre che squattrinati, però, gli enti locali restano periferici. Marginali. Il potere, allora, dove «abita»?
«Francamente, non sono convinto che gli enti locali siano periferici. Prendiamo, ad esempio, i grandi Comuni e le stesse Regioni: hanno certamente la possibilità di decidere e compiere grandi scelte che influenzano la vita del cittadino. Pensiamo, appunto, a una Regione che gestisce il 70 per cento dei budget sanitari e, quindi, esercita un potere enorme. Se consideriamo che siamo il popolo più anziano al mondo dopo il Giappone (l’agenzia statunitense Moody’s, in un report, ha indicato in Germania e, appunto, Italia e Giappone le tre nazioni "super-anziane" del pianeta con più del 20 per cento della popolazione sopra i 65 anni, ndr), si capisce quanto la gestione del sistema sanitario incida sulle persone».

Riforme istituzionali, Jobs act, taglio della tassa sulla prima casa. Cosa pesa di più sugli umori del Paese?
«Certamente, ciò che ha impatto più immediato sul vissuto delle persone. Senza ombra di dubbio, quindi, il taglio delle tasse perchè appena deliberato viene subito "visto" dai cittadini nelle proprie tasche. In alcuni casi, ma per riflessi di vita familiare e non sulla base delle statistiche lette sui giornali, pesa anche il Jobs Act: se tuo figlio o un amico ha trovato il posto di lavoro, lo accrediti a quella legge. Solo in ultimo, le riforme istituzionali come quella del Senato. Non sono determinanti ai fini delle preferenze elettorali, anche se possono rappresentare un elemento aggiuntivo di scelta».

Insomma, su quali valori viene giudicato chi governa?
«È una risposta complicata. Ciò che ha riflessi sulla vita pratica delle persone, certamente determina il giudizio. Per avere consenso, comunque, serve anche altro. Mi riferisco alla capacità di suscitare nell’immaginario collettivo lidea che esista una visione di fondo nella gestione politica. Ovvio, poi, che sia davvero difficile mettere insieme il binomio: reale-immaginario».

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