I 16 milioni stanziati con una legge stanno finendo, torna l'emergenza forestali in Sicilia
PALERMO. Torna l’emergenza forestali. I 16 milioni, stanziati due settimane fa da una legge dell'Ars per evitare il licenziamento dei 24 mila operai, stanno finendo. Oggi inizieranno a fermarsi i primi lavoratori a Enna e Catania, da lunedì toccherà ai colleghi delle altre province e in breve tutti saranno sospesi. Il motivo, come detto, è legato alla mancanza di risorse: per quest’anno servivano 270 milioni di cui 88 milioni stanziati dal governo nazionale. Questa somma però non è ancora arrivata. Due settimane fa il governo ha preso tempo racimolando 16 milioni e sperando che nel frattempo il Cipe, il comitato interministeriale per la programmazione economica, sbloccasse le somme attese. Ciò è avvenuto ma l’iter per incassare i soldi non si è ancora concluso. Così i 16 milioni sono finiti e i forestali sono ripiombati nell’incubo. Ieri il nuovo assessore all’Agricoltura, Antonello Cracolici, e il dirigente generale Felice Bonanno hanno provato a trovare altre risorse per tamponare l’emergenza ma fino a sera non è emersa alcuna novità. Il problema è legato non solo alla carenza di risorse ma soprattutto ai particolari contratti firmati dagli stagionali. I 24 mila forestali sono divisi in varie categorie e sono tutelati da una legge che garantisce loro un minimo di giornate di lavoro da svolgere ogni anno. Ci sono operai che devono effettuare 78 giornate, altri con contratti da 101 giornate e infine quelli con 151 giornate di lavoro. Queste giornate devono essere svolte entro l’anno e non possono essere recuperate successivamente. Quindi, se per mancanza di soldi o per ritardi burocratici questi lavoratori firmano in ritardo i contratti, rischiano di perdere una parte delle giornate e la relativa indennità (più una quota della indennità di disoccupazione). È quanto sta succedendo in Sicilia scatenando l’ira dei lavoratori. Uno di loro, Giuseppe Preti, ha scritto sulla pagina Facebook del condirettore del Giornale di Sicilia, Giovanni Pepi, lamentando proprio il mancato rispetto del contratto nonostante le tutele della legge.