PALERMO. La Sicilia è infrantumi. Cicatrici antiche e ferite recenti si accompagnano a nuove emergenze: il territorio che si sbriciola e la crisi dell’acqua; sono eventi prevedibili ed indegni di una società occidentale del 21° secolo. Le vicende che hanno travolto le grandi dorsali di trasporto e le difficoltà idriche in città come Messina, Gela, Caltanissetta e, più di recente, Agrigento avrebbero dovuto stimolare un profondo, magari incandescente, confronto politico, ed invece sono rimaste fuori dalle consuete, precluse «trattative» di cui alle cronache recenti. A sentirli uno per uno, non troveremmo una istituzione, un soggetto politico disposti a negare la centralità dei «programmi» rispetto alle «poltrone»; ma decenni di sonore sconfitte sociali hanno tolto credibilità ad un sistema di gestione della cosa pubblica che, per restare in tema, ha negato attenzione alle infrastrutture ed alle manutenzioni anche ordinarie, per accentrare risorse, provvedimenti ed euro (anche quelli che non ci sono) in politiche assistenziali. Mentre lo Stato mobilita, non senza difficoltà ed una volta sola, circa 2,2 miliardi di euro per realizzare una rivoluzione copernicana, portare la banda di telecomunicazione ultralarga all' 85% % degli italiani, la Sicilia spende, ogni anno, circa 2,5 miliardi (sanità esclusa) per pagare stipendi, salari e pensioni, per poi dovere registrare che un imprenditore siciliano sulla breccia «sogna» un' amministrazione regionale capace di «semplificazioni procedurali» e di «tempi certi» (Giornale di Sicilia del 5 novembre)tro -Nord Svimez 2015). Se una insensata politica fosse servita almeno a garantire condizioni minime di sopravvivenza, potremmo ancora accettarlo; il problema è che a fronte di 90-100 mila unità di personale con stipendi, pensioni e sussidi a carico del bilancio regionale (sanità esclusa), ci sono in Sicilia 388.270 disoccupati in cerca di lavoro (Istat) e 526.500 giovani tra 15 e 34 anni che neanche lo cercano più un lavoro (Svimez). Per tacere che la Sicilia resta la regione italiana dove più alto è il rischio povertà, con valori addirittura quadrupli rispetto al Centro-Nord (Rapporto Svimez 2015). Con un Governo monco, una gravissima crisi di liquidità, un deficit di bilancio «strutturale e consolidato» e con «politiche assunzionali superiori alle effettive esigenze» che hanno portato a 5,13 dipendenti regionali ogni mille abitanti, afronte di una media per le altre regioni di 1,86 dipendenti ogni mille abitanti; con queste premesse, ci si chiede come invertire la rotta. La ricetta la conoscono tutti: investimenti, conti in ordine e rilancio dell' impresa; ma la vedremo mai nel ricettario degli addetti ai lavori?