PALERMO. «Il settore delle cooperative in questi anni di crisi ha stretto molto la cinghia. Abbia «mo registrato anche un incremento significativo: in sei anni il numero di occupati cresciuto del 4 per cento. Adesso stiamo attraversando una fase molto difficile». Lo afferma Gaetano Mancini, presidente regionale di Confcooperative.
Una realtà che in Sicilia conta oltre duemila cooperative con quasi 100 mila soci e 20 mila addetti. Queste cooperative producono complessivamente un miliardo di euro di fatturato. «Siamo consapevoli- prosegue Mancini- che è necessario ancora fare tanto e non possiamo sprecare occasioni come quelle dei fondi strutturali».
Il mondo delle cooperative come ha reagito alla crisi diffusa di questi ultimi anni?
«Le cooperative hanno oggettivamente dato fondo a tutte le risorse. Partiamo, intanto, da un presupposto. Le cooperative non sono società lucrative, che tendono all' accumulo di capitale, ma sono finalizzate a dare risposte ai loro soci. Il privilegiare questo rapporto di fatto ha creato le condizioni per un incremento del numero di realtà. E paradossalmente anche la capacità occupazionale è cresciuta in controtendenza rispetto al passato o ad altri settori.
Dal 2008 al 2014 abbiamo registrato un +4,5 per cento di occupati. Un piccolo calo dal 2012-2014. Questo fenomeno di crescita si è, infatti, invertito da poco più di un anno. Dando fondo a tutte le risorse oggi, infatti, ci si ritrova in una situazione di forte debolezza. La stessa cooperazione, sostanzialmente, è in uno stato di grave difficoltà».
Quali sono i settori che in Sicilia vedono una presenza significativa di cooperative?
«Registriamo una presenza forte e consistente di cooperative sociali. Sono quelle che si occupano dell' assistenza agli anziani, ai minori e dell' inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati. Ci sono poi le cooperative agricole, agroalimentari. E ancora le cooperative di lavoro, quindi sostanzialmente di servizi. Queste sono oggi le realtà significative. Vanno anche considerate le banche di credito cooperativo».
E quale tipo di cooperativa ha registrato una crescita, sia in termini occupazionali che di numero?
«Soprattutto negli agglomerati urbani le cooperative sociali e le cooperative di servizio hanno visto un aumento. Sono cresciute parecchio. Spesso vengono fuori anche cooperative di lavoro, come le startup nei settori innovativi. E su queste abbiamo, come Confcooperative, puntato molto lanciando anche un progetto specifico che si chiama CoopUp, in pratica è la prima rete nazionale di spazi di supporto all' innovazione cooperativa. CoopUp punta a sostenere, promuovere e aiutare queste realtà».
Qual è lo stato di salute delle cooperative che operano oggi nella nostra Isola?
«Se esaminiamo, ad esempio, le cooperative sociali ci ritroviamo a dover fare i conti con una realtà che opera con committenza pubblica. E in questo caso è chiaro che ci sono difficoltà notevoli. Basta, infatti, guardare alle situazioni della finanza pubblica. Chi lavora all' interno di queste cooperative soffre di più rispetto ad altri».
Cosa manca per il rilancio economico e produttivo della Sicilia?
«Serve innanzitutto strategia. Spesso ci si chiede perché in alcuni posti si è speso di più e meglio ed in altri meno? Perché essenzialmente in quei posti c' è stata una strategia. Nella nostra Isola serve una strategia di sviluppo. Io sono convintissimo che c' è un tema importante che riguarda sia il turismo chee l' agricoltura, due campi che hanno una forte relazione tra loro. Abbiamo una condizione di qualità dell' agroalimentare. Abbiamo oggi molto da dire, specialmente in un momento storico in cui c' è un grande interesse verso questo argomento e settore: dalla dieta mediterranea alla stessa qualità delle colture.
Su questo ci sarebbe da sviluppare un disegno strategico. La stessa cosa sul turismo: abbiamo siti Unesco, il vulcano più alto d' Europa, un patrimonio culturale grandissimo, un patrimonio gastronomico di livello, un mare spettacolare... è chiaro che questa è un' eccezionale condizione che andrebbe valorizzata. Ma per fare questo, ripeto, occorre una strategia.
Significa quindi che poi tutto il sistema in termini di servizi, filiere e infrastrutture è finalizzato a sostenere quella stessa strategia. Secondo me il vero tema, che poi è quello che è mancato in questi decenni nella spesa dei fondi strutturali, è la capacità di concentrarsi su alcuni interventi necessari. E occorre invertire anche quella tendenza che ha visto far diventare le risorse straordinarie in un' opportunità per gestire le spese correnti. La Sicilia deve abbandonare quella logica che l' ha caratterizzata negli ultimi 40 anni. Non si può ancora prediligere la risposta immediata rispetto a un progetto di sviluppo».
Cosa intende?
«L' occupazione immediata a carico della pubblica amministrazione non si regge, mentre se si investe su un progetto di sviluppo che poi ha una base economica... questo può anche produrre occupazione».
Oggi inviterebbe a investire in Sicilia?
«La strada che bisogna seguire non è certamente quella di abbandonare l' Isola. Ma la classe dirigente di questa regione deve porre le condizioni per cui si possa dire ad un' impresa di venire ad investire. Oggi è complicato fare questo. Oggettivamente investire in Sicilia è una scommessa. Ma ci sono tantissime straordinarie risorse. Per cui lo spazio per investire c' è. Ma se mancano i servizi, le infrastrutture è difficile portare imprese».
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