PALERMO. Un buco di oltre 35 milioni di euro che cresce di circa un milione e mezzo ogni anno, una platea di 2.000 dipendenti di cui 750 a tempo indeterminato, con ritardi nel pagamento degli stipendi che arrivano anche a sfiorare i due anni. Il mondo delle Ipab, le strutture di pubblica assistenza, in Sicilia è ormai fuori controllo.
Il piano di tagli dell'assessore all'Economia, Alessandro Baccei, prevede di mantenere in vita, tra le 139 rimaste, solo quelle più grandi, cioè con un volume di bilancio di almeno 500 mila euro e che svolgono ancora attività. Le altre saranno liquidate e il personale sarà trasferito agli enti locali. Dovrebbero essere una sessantina le strutture che resteranno in vita.
Il problema, spiegano dagli uffici del dipartimento della Famiglia guidato da Maria Antonietta Bullara, riguarda il fatto che la Sicilia è stata l'unica regione a dare un contributo alle Ipab che così, anche se non svolgevano attività, sono rimaste in vita. Un sistema che è stato quindi «drogato» e sta implodendo ora che la Regione ha tagliato i finanziamenti.
Secondo i Cinque Stelle c'è però anche dell'altro. Angela Foti, deputato all' Ars, spiega che «la causa principale è la mancata riforma che avrebbe trasformato le Ipab in aziende per i servizi alla persona. Questa è stata approvata in tutte le Regioni tranne in Sicilia. La conseguenza è che le Ipab non possono svolgere tutta una serie di servizi sociali. In più i Comuni spesso non rispettano le convenzioni e mandano gli anziani dai privati, situazione che può essere riconducibile a interessi particolari».
Così oggi la stragrande maggioranza delle Ipab ha difficoltà a fare cassa. Eppure le ex opere pie possono contare su ingenti patrimoni spesso legati a eredità lasciate dagli assistiti.
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