PALERMO. E tre. Dopo la legge sugli appalti e quella sulle province, nel mirino di Roma c’è anche quella sull’acqua. Il governo nazionale è pronto a impugnare la riforma approvata dall’Ars prima della pausa estiva. La terza che rischia di trasformarsi in un nuovo terreno di scontro con la Regione. Un’impugnativa quasi decisa, di cui ancora a Palermo non si ha notizia formale.
Dovrebbe essere ufficializzata dal Consiglio dei ministri dopo l’11 ottobre: data in cui scadono i termini. Per evitare tutto cio, è in corso una mediazione tra Roma e l’assessore all’Energia, Vania Contrafatto (ala renziana del Pd)che apertamente, fin dal primo momento, aveva contestato la legge. Un testo scritto da un asse che andava dai grillini all’ala del Partito democratico guidata da Giovanni Panepinto, passando per pezzi di Ncd.
Nel mirino c’è il nodo fondamentale della riforma: la Sicilia privilegia in modo evidente le società pubbliche e i Comuni. I privati, a detta di Roma, verrebbero scoraggiati a investire. Perchè? Il motivo è tutto contenuto nell’aggettivo «prevalente» dell’articolo 4 della legge: «La disciplina dell’affidamento della gestione del servizio idrico è di prevalente interesse pubblico e non riveste carattere lucrativo».
Inoltre, se da un lato la legge, in linea con quanto prescrive la normativa nazionale, prevede che a decidere a chi affidare il servizio siano le società pubbliche (come voleva il presidente Crocetta), le Aziende consortili, i consorzi tra Comuni o le società a totale partecipazione pubblica, nei commi successivi, secondo i rilievi che Roma è pronta a sollevare, i privati subiscono tutta una serie di penalizzazioni. Viene previsto che i privati possano gestire il servizio per massimo 9 anni (oggi Girgenti Acque ha una convenzione pluridecennale) e che se le condizioni offerte sono meno vantaggiose di quelle delle società pubbliche, si devono preferire queste ultime. Il punto cruciale è però l’introduzione di un sistema di sanzioni a carico dei privati.
DAL GIORNALE DI SICILIA DEL 20 SETTEMBRE
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