Sottosviluppo permanente. È questa l'epigrafe che lo Svimez ha simbolicamente affisso sul corpo martoriato del Mezzogiorno. Una crisi senza fine fatta di posti di lavoro che muoiono, figli che non nascono, giovani che espatriano, serrande che chiudono.
«L' ultimo rapporto completa ciò che era ampiamente emerso negli scorsi anni. Il Mezzogiorno versa in una crisi cronica avviata a diventare irreversibile», chiosa Emanuele Felice, docente di Storia economica presso l'Università autonoma di Barcellona. «Urgono provvedimenti strutturali immediati. Il Sud è giunto all' ultima spiaggia», commenta l' editorialista de La Stampa. Che proprio alla questione meridionale, ha dedicato un meritorio saggio: Perché il Sud è rimasto indietro (Il Mulino, 264 pagg. 16 euro).
Professore, qual è la fotografia del Sud che viene fuori dal rapporto Svimez?
«Negli ultimi quindici anni il Sud è la macroarea europea che è cresciuta meno di tutti. Pur non essendo stato sottoposto alla cura draconiana di Berlino, il Meridione sta oggi molto peggio della Grecia. Siamo in presenza di una crisi strutturale che viene prima della crisi del 2008. Ma ad inquietare ancor di più è la desertificazione umana del Mezzogiorno. Dall' unità al 2006 il tasso di fertilità è sempre stato più elevato che al Nord. Negli ultimi nove anni, la situazione si è rovesciata. Al Sud avanza il deserto. Se va avanti di questo passo, la questione meridionale potrebbe risolversi per esaurimento del problema».
Eppure qualcuno reputa i dati Svimez alla stregua di una lagna. Come mai?
«Viviamo in un Paese in cui la questione meridionale è stata rimossa. Abbiamo parlato per mesi della Grecia, ma ci siamo scordati che la catastrofe ce l' avevamo in casa. I dati Svimez servono a riaccende re un po' l' attenzione. Noi specialisti sapevamo benissimo che il Sud stava peggio della Grecia. Ma se qualcuno non lo avesse detto chiaro e tondo ai media, tutti avrebbero continuato a far finta di niente».
Si dice che rilanciare il Sud significa far ripartire la nazione. Favola o realtà?
«L' Italia non può neanche immaginare di andare avanti, se un terzo dei suoi abitanti è ridotto in queste condizioni. Teniamo presente però che a differenza del passato, quando nel centro Nord vi era un sistema produttivo molto forte, oggi anche il volano del Settentrione è caduto al tappeto. Non è mai stato così fragile come negli ultimi quindici anni. Hanno un bel dire quanti guardano al Sud come a una zavorra, e al Nord come la ciambella che ci tiene a galla. È tutta l' architettura italiana a essere inadeguata alla sfida della globalizzazione. Il rilancio del Mezzogiorno non è perciò semplicemente utile. È fondamentale per tutto il Paese».
Il Nord cresce ai ritmi del nord Europa: perché questo abisso?
«Il settentrione non cresce ai livelli del Nord Europa.
La verità è che anche il sistema industriale del Nord non è mai stato così fragile come negli ultimi quindici anni. La divaricazione aumenta. Ma se il Sud piange, il Nord non ride».
Il Sud è quindi lo specchio del Paese?
«Da Ragusa a Bolzano, il Paese è attraversato da mali comuni: l' inefficienza del sistema burocratico -amministrativo e giudiziario, gli altissimi livelli di corruzione anche al centro e al Nord, un sistema dell' istruzione e dell' innovazione che è in fondo alla classifica dei dati Ocse, i problemi della specializzazione produttiva in settori a basso valore aggiunto che soffrono maggiormente la concorrenza dei Paesi emergenti. È vero dunque che il Sud sta peggio, ma nessuno può permettersi di usare il Meridione come alibi.
È l' Italia intera, nel suo complesso, che non funziona».
Quanto hanno inciso le politiche dell' austerity sul disastro del Mezzogiorno?
«L' austerity ha inciso soprattutto perché le condizioni di partenza, prima della crisi, non erano buone. C' è stato un drenaggio di risorse importante che indubbiamente ha provocato molti dissesti. Ma è pur vero che buona parte dei fondi era utilizzata male.
Se un sistema vive di risorse pubbliche e poi le spreca, è destinato al fallimento. La soluzione non sta perciò soltanto nel mettere a disposizione maggiori fondi. Le risorse adeguate sono condizione necessaria ma non sufficiente».
I Fondi europei sono copiosi, ma non vengono impiegati ad esempio. Come mai?
«I fondi europei sono programmati su sette anni. Se si vogliono utilizzare in maniera produttiva possono essere impiegati per realizzare le grandi infrastrutture. Ma è qui che sorge il problema. In Italia per realizzarle ci vogliono in media dieci anni: undici nel Mezzogiorno, nove nel centro Nord. C' è dunque un problema strutturale. Ecco perché spesso si finisce con l' impiegarli a pioggia all' ultimo momento. Tempi e costi europei sono la metà di quelli italiani. Il punto è questo: o si riforma la pubblica amministrazione, ole grandi opere possiamo scordarcele».
Il progetto è impegnativo: alternative?
«In alternativa si può ricorrere a una soluzione temporanea: un' amministrazione straordinaria che attraverso procedure straordinarie utilizza fondi europei per fare grandi infrastrutture in deroga alle leggi ordinarie. Ci vorrebbe un' agenzia per il Mezzogiorno esemplata sul modello pensato dall' ex ministro Trigilia. Se ne era parlato molto, ma da quando è arrivato Renzi se ne sono perse le tracce».
Il governo Renzi ha promesso molto per il Sud.
Con quali risultati?
«Taddei ha difeso di recente l' operato del governo a favore delle infrastrutture. Ma è un fatto che il Meridione è sparito dalla narrazione di Renzi. In pubblico non ne parla mai. Magari lo farà in privato, chi può dirlo».
Sul tema ha scritto un apprezzato saggio: perché il Sud è rimasto indietro?
«Di fronte al progressivo fallimento e al cattivo impiego delle risorse, si è fatta strada una crescente sfiducia nelle sorti del Sud che la questione settentrionale ha amplificato e portato all' estremo. L' avvento della Lega, negli anni scorsi, ha diffuso il convincimento che per il Meridione non ci fosse più nulla da fare, e che le poche risorse dovevano essere investite nel produttivo centro Nord».
Come invertire il trend prima che sia troppo tardi?
«Il Meridione continua a perdere risorse umane. Se l' andazzo rimane questo, presto giungeremo al punto di non ritorno. È perciò fondamentale prendere coscienza che il Sud deve dotarsi di una classe dirigente che non si lasci scappare l' ultima occasione per ripartire. È forse l' ultima spiaggia. Ola gente del Sud si rimette in moto insieme alla classe dirigente che sceglie, o il Mezzogiorno è spacciato».
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