Nel conflitto tra Stato e Regione Siciliana e nel rimpallo di responsabilità, nessuno è innocente. Con un reportage pubblicato il 15 luglio, il Giornale di Sicilia, ha illustrato le responsabilità dello Stato e quelle regionali. Oggi sembra quanto mai urgente passare dalla contrapposizione alla trattativa tra Roma e Palermo. Il «piano organico di rientro dal deficit regionale» (che la Corte dei Conti chiede con energia) e la «riscrittura» dei rapporti finanziari tra Roma e Palermo (che la Corte Costituzionale sollecita con le sue sentenze), evocano quella condizione delle «carte in regola» che nessuno dei due contendenti può oggi vantare. Input così autorevoli richiedono scelte difficili, coraggiose e senza aree di esclusione. Ma richiedono anche capacità tecniche di non poco conto. La dirigenza della Regione Siciliana, per quanto frustrata da anni di polemiche e contestazioni, conta al suo interno risorse umane e professionali di spessore, idonee a districare la matassa. Ma i segnali sono poco incoraggianti. Mentre la ricerca di nuovi equilibri politico-istituzionali occupa la prima linea, la condizione di non ritorno dei conti pubblici regionali resta in seconda linea. Eppure la Corte dei Conti lo predica da anni e qualche giorno fa lo ha asseverato in maniera inequivocabile. Il deficit del bilancio regionale è ormai «strutturale e consolidato». È «strutturale» perché l'equilibrio tra entrate ed uscite è definitivamente compromesso. È «consolidato» perché da troppi anni lo squilibrio tra entrate ed uscite genera debiti, inefficienze e ritardi che producono a loro volta altri debiti, altre inefficienze, altri ritardi. Per fare ripartire la macchina della Sicilia, deve avviarsi il circuito sviluppo-lavoro-reddito-consumi. Non certo con altri dipendenti pubblici. La soluzione obbligata è il taglio rigoroso e selettivo della spesa pubblica, la rideterminazione degli organici pubblici, il decentramento delle competenze regionali ai Comuni, il contenimento della presenza pubblica nell'economia e il sostegno al sistema locale delle imprese. È la strada che sollecita la Corte dei Conti in Sicilia, rimandando alla politica le scelte specifiche, ma non mancando comunque di fornire segnali precisi. Cominciamo dal personale; nei prossimi giorni vedremo le altre aree critiche. È chiaro il segnale, quando la magistratura contabile denuncia «la insostenibilità dell'attuale dimensionamento del personale negli apparati centrali e periferici della Regione». I dipendenti regionali diretti sono 19.928, di cui 1.750 dirigenti; considerando stipendi, oneri riflessi e pensioni si arriva ad un costo annuale di 1.546 milioni di euro. Secondo la Corte dei Conti sono troppi. Il 23,5% di tutti i dipendenti regionali in Italia così come il 36% di tutti dirigenti regionali, sono impiegati presso la Regione Siciliana. Nelle regioni a statuto speciale c'è un dirigente ogni 19 dipendenti, mentre in Sicilia ce ne è uno ogni 9. In Sicilia ci sono 5,1 impiegati regionali ogni mille abitanti, mentre nella media nazionale ci sono 1,9 impiegati regionali ogni mille abitanti; il rapporto impiegati/abitanti include nel resto d'Italia gli addetti ai vari consigli regionali, mentre in Sicilia il personale Ars resta escluso dal computo. Questi parametri, di per se già elevati, sono destinati a salire, perché presto bisognerà contabilizzare anche il personale indiretto. Il personale indiretto, il cui costo è comunque a carico del bilancio regionale, è anch'esso esorbitante. Per i dipendenti della sanità si spendono in un anno 2.836 milioni; 275 milioni vanno, poi, ai forestali, 181 milioni servono per i precari nei Comuni e nelle ex Province e 130 milioni per il personale distribuito in vari enti; è un lungo elenco dove primeggiano i Consorzi di Bonifica, l'Esa, gli Enti parco, gli ex Consorzi Asi, l'Arpa, il Teatro Bellini di Catania e l'Orchestra Sinfonica Siciliana.
Infine, ci sono 19 «società partecipate» che costano 272 milioni di euro. Di tanto in tanto si sentono vagheggiare ipotesi di messa in liquidazione; un obiettivo che non sembra proprio a portata di mano. Basti considerare, senza entrare in altre valutazioni, che quasi 250 milioni di euro - cioè il 90% di tutta la spesa per le partecipate - vengono assorbiti solo da quattro società: l'Ast (trasporti pubblici), Riscossione Sicilia (esazione tasse), la Sas (gestione dei musei siciliani) e la Seus (servizio 118); a prima vista non sembra che ci siano grandi spazi per la liquidazione di queste società. In complesso, la spesa per il personale, diretto ed indiretto, supera 5,2 miliardi di euro all'anno. Ma forse anche di più, se la Corte dei Conti vuole sapere quanto costa effettivamente il personale «anche quando è formalmente imputato ad organismi esterni». La magistratura contabile considera «insostenibilmente smisurato» il numero dei dipendenti diretti e indiretti della Regione Siciliana. Come è facile comprendere, la Regione non può dare lavoro a tutti disoccupati della Sicilia. A fronte di 140-150 mila persone a vario titolo a carico della Regione, si contano infatti 400 mila disoccupati ufficiali; il modello assistenziale della Sicilia ha quindi fallito. Da un lato non ci sono più i quattrini per tenerlo in piedi e dall'altro non si può mandare a casa la gente. Ci andrebbe di mezzo l'ordine pubblico. Ecco perché è indifferibile un piano organico - scritto a quattro mani con lo Stato - per programmare il taglio rigoroso e selettivo della spesa corrente, per un'azione efficace di contrasto all'evasione fiscale, lo sfoltimento degli organici pubblici, l'introduzione di meccanismi premianti del merito e della produttività e l'esternalizzazione dei servizi pubblici tutte le volte che sia possibile. Governo e Parlamento hanno subito l'occasione per voltare pagina; la riforma delle Province sarebbe l'occasione ideale per trasferire ai Comuni e ai Liberi Consorzi una parte delle competenze regionali come la formazione, i beni culturali, l'agricoltura, con il progressivo ma obbligatorio trasferimento del personale addetto e con oneri via via decrescenti per il bilancio regionale. Solo con queste premesse si può bussare alla cassa romana con un minimo di credibilità. Serve per questo un accordo tra lo Stato e la Regione, magari sotto l'occhio vigile e garante della Corte dei Conti. Non ci sono altre soluzioni per evitare che crescita e riforme vadano in vacanza.
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