Chissà se Maurizio Landini troverà il tempo fra un salotto tv e la «Leopolda rossa» di confessare gli errori e le valutazioni sbagliate che ha fatto in questi anni sulla Fiat. Chissà se Susanna Camusso considera ancora Sergio Marchionne un nemico della classe lavoratrice. Un operaio di Melfi l’ha pure presa in parola mimando l’impiccagione del manager italo-canadese. È stato licenziato e i giudici non hanno avuto esitazione a respingere il ricorso.
Perché a questo punto sarà bene stabilire un principio: chi fa davvero gli interessi del lavoratori? L' impresa che investe, realizza prodotti di successo e assume oppure il sindacato schiavo di antiche ideologie che si oppone a prescindere e definisce qualunque innovazione come un attacco ai diritti del lavoratore. I sacerdoti della nostalgia invocano sempre la pace sociale dimenticando che anche il deserto ha una sua tranquillità. Dovrebbero trovare il coraggio di cambiare. Il futuro ha la cattiva abitudine di andare avanti con chi ci sta lasciando gli altri ai margini della strada. La Fiom e la Cgil sono stati in prima fila nel considerare le nuove relazioni industriali della Fiat come mele avvelenate del turbo -capitalismo. E adesso che cos' hanno da dire dopo il gruppo ha annunciato che farà altre 1.000 assunzioni in diversi stabilimenti italiani entro quest' anno, applicando il Jobs Act. Inoltre saranno stabilizzati anche i 1.550 lavora tori di Melfi. Sappiamo già quali saranno le obiezioni della parte più radicale del sindacato e anche di qualche esponente del centrodestra che, accecato come gli altri dall' ideologia, finisce per ritrovarsi dalla parte sbagliata della barricata. Diranno che in fondo è solo un trucco aritmetico perché si tratta di lavoratori che stavano già in fabbrica e dunque cambia solo l' etichetta, non la sostanza. Ma perché questi sapientoni perennemente critici sulle cose del mondo non provano, per una volta a uscire dai salotti e andare davvero in fabbrica (cosa che non hanno mai fatto e per questo hanno perso l' alfabeto della classe operaia). Perché non parlano con questi 1.550 ragazzi?
Non lo fanno perché non sanno più dove trovarli avendo perso gli indirizzi delle manifatture ma, soprattutto perché non hanno voglia di sentirsi dire una verità che ruberebbe le loro certezze. Si sentirebbero dire che passare dal precariato al tempo indeterminato cambia di colpo le prospettive di vita.
L' orizzonte smette di avere una prospettiva bassa per diventare lungo. Significa poter pensare al futuro, alla famiglia, ad un mutuo. Ma perché l' ala estrema del sindacato protesta? Susanna Camusso e Maurizio Landini non puntano alla stabilizzazione dei posti di lavoro? Non sono i paladini nella lotta al precariato? E allora perché non hanno la forza di applaudire per mille assunzioni e 1.550 ragazzi che escono dal limbo dell' incertezza? Devono rifugiarsi in imbarazzati silenzi perché altrimenti dovrebbero confessare troppo errori. Preferiscono disperdersi nelle differenza fra l' articolo 18 e il Jobs Act. Fra un contratto per la vita e un contratto a tutele crescenti.
Rimpiangendo il paradiso perduto e dimenticando l' inferno per gli esclusi (soprattutto giovani). Dovrebbero ammettere che opporsi al decentramento contrattuale volendo difendere il tabù del contratto nazionale è stato un errore? Dovrebbero riconoscere la saggezza degli operai che a Pomigliano, Melfi e negli altri stabilimenti della Fiat bocciarono i referendum promossi da Fiom e Cgil. Dovrebbero fare abiura e dire che la ripresa è cominciata e comincia pure a sviluppare nuova occupazione.
Certo è merito del petrolio basso e della caduta del costo del denaro indotto dalla politica monetaria molto aggressiva della Bce a guida Mario Draghi.
Ma anche delle novità introdotte dal governo: dagli ottanta euro al taglio dell' Irap e adesso il Jobs Act. Lo ha riconosciuto Confcommercio (in genere assai avara di riconoscimenti) che le cose vanno un po' meglio e che il tunnel dei consumi dopo quattro anni torna a vedere la luce. Finalmente una buona notizia.
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