Con tre mila nuovi posti di lavoro nel Gruppo Fca e nell’indotto e con una parziale ripresa dei consumi privati, si consolidano i segnali di ripartenza dell’economia italiana, sia pure in termini ancora timidi. Questa stessa «timidezza» resta, però, estranea ad una buona parte del Mezzogiorno e del tutto sconosciuta in regioni come la Sicilia e la Calabria. Il riscontro più significativo arriva dal fronte dell’occupazione. Nel primo trimestre del 2015 l' intero Paese ha creato 132 mila posti di lavoro; nello stesso periodo il Mezzogiorno ha visto aumentare di 45 mila unità il numero delle persone che lavorano, mentre in Sicilia il numero, già basso, degli occupati diminuisce dial tre 19 mila unità. Quello della disoccupazione è il primo e più doloroso segnalatore delle condizioni di crescente disagio in cui si dibatte una parte cospicua del Paese. Il Nord conta quasi 12 milioni di occupati ed il Sud meno di sei milioni. Con una aggravante. Lo stesso Mez zogiorno, un territorio tradizionalmente attardato, non si può più considerare un tessuto omogeneo, vedendo affermarsi al proprio interno aree di crescente distacco dal resto d' Italia. C' è quindi un Sud ancora più a Sud. Non è un' entità geografica statica ma piuttosto variabile. Gli esempi sono molteplici. Nel Mezzogiorno malato a macchia di leopardo si fa fatica a raccogliere persino i rifiuti dalle strade; la produttività delle industrie è lontana da quella del Centro -Nord e lontanissima dall' Europa; mancano le infrastrutture, difettano i servizi pubblici e si pagano più tasse. È difficile fare una graduatoria delle condizioni di vivibilità di un Paese. È difficile dire se sia più grave la carenza di strade o di ferrovie. Tuttavia non è difficile immaginare che il tema della salute occupi una posizione prioritaria. Ebbene, mentre l' Italia conquista un invidiabile primato di civiltà, quello di avere un tasso di mortalità infantile più basso degli altri partner europei, esistono ancora aree dove il fenomeno è una volta e mezzo più grave. È il caso della Sicilia dove fa notizia il dramma della neonata morta in ambulanza, mentre non scuote le coscienze la circostanza ben più grave e generalizzata che ogni mille bambini che vengono alla luce 4,8 non ce la fanno, rispetto ad un valore medio nazionale pari a 3,2. E che dire poi dell' abbandono scolastico? Tredici studenti ogni cento si «perdono» nella media europea; salgono al 18% nella media italiana e lievitano al 25% in Sardegna e Sicilia. Per tacere del fatto che ai test di comparazione internazionale i nostri studenti risultano penaliz zati, sul piano dell' apprendimento, rispetto ai coetanei europei, e che gli studenti del Nord staccano per maggiori conoscenze quelli del Mezzogiorno. Piuttosto che eludere i test Inval si, per protestare contro la riforma annunciata della scuola, sarebbe stato preferibile prendere consapevolezza delle differenze esistenti tra le diverse regioni malgrado la gestione della scuola sia statale- e ricercare le soluzioni più idonee. Nel girone infernale dei poveri più poveri entrano ed escono diverse regioni meridionali, con una presenza quasi costante della Sicilia. L' Isola è, sotto diversi punti di vista, l' immagine plastica di un territorio alla deriva; appena nel 2006 contava circa 1,5 milioni di occupati, mentre oggi ne conta appena 1,3 milioni. Per «raggiungere» i livelli occupazionali del Nord, in rapporto agli abitanti, la Sicilia dovrebbe avere 2,2 milioni di occupati. Come dire che mancano all' appello 900 mila posti di lavoro; se si pensa che in Sicilia ci sono circa 1,8 milioni di fa miglie, nei fatti una famiglia ogni due è priva di una fonte di reddito. Che altro deve accadere perché si prenda atto di questa insostenibile situazione e si lavori nell' unica direzione praticabile: spostare risorse dalla spesa pubblica improduttiva alla spesa capace di indurre la creazione di lavoro vero. Magari rinunciando alla impraticabile scorciatoia del reddito di sopravvivenza, o come altrimenti lo si vuole definire. Il Mezzogiorno vive il dramma del lavoro e della mancanza di reddito, ma nonostante certe buone intenzioni, la soluzione non può essere un sussidio generalizzato. Con un debito pubblico che ha raggiunto la insostenibile cifra di quasi 2.200 miliardi di euro, un' ulteriore crescita porrebbe l' ennesima, e forse definitiva, ipoteca sul futuro dei nostri giovani.