ROMA. Le misure per le pensioni arriveranno sul tavolo del consiglio dei ministri lunedì, come previsto. Ma, a differenza di quanto lasciato intendere finora, si tratterà forse solo di un primo esame. Il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, fino ad oggi pronto a spingere sull'acceleratore, sembra aver soppesato le parole annunciando da Tiblisi che, nell'appuntamento già fissato per il primo giorno della prossima settimana, il governo "discuterà le misure" identificate per trovare una soluzione. Di decreto quindi Padoan stavolta non ha parlato, lasciando spazio alle interpretazioni che hanno visto emergere in questi giorni una diversità di intenti tra Tesoro e Palazzo Chigi sulla tempistica di un provvedimento. Tecnici del Mef e staff di Matteo Renzi stanno in realtà lavorando a stretto contatto per rendere il decreto disponibile rapidamente. Anche perché, secondo quanto si evince da ambienti della maggioranza, quello di fare presto sembra un input in arrivo anche da Quirinale. Sergio Mattarella giudicherebbe infatti il decreto ineludibile e da approvare piuttosto velocemente, si ragiona in ambienti politici del centrosinistra. In Italia "c'è libertà di opinione e di pensiero", afferma il presidente per via ufficiale di fronte alle critiche arrivate da più parti alla sentenza della Corte Costituzionale, ma non c'è dubbio che il giudizio della Consulta vada rispettato a pieno, si sintetizza negli stessi ambienti della maggioranza nel commentare le parole del Capo dello Stato. Il governo è dunque alle prese con tutte le ipotesi possibili che permettano da una parte proprio di rispettare la Corte e dall'altro, ha ribadito anche oggi Padoan, in Georgia per l'assemblea annuale della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, di minimizzare l'effetto sui conti pubblici. L'idea è quella di mini-rimborsi per fasce di reddito che limitino l'impatto totale dell'operazione a 2,5-3 miliardi al massimo. Tutti da quantificare, secondo le regole europee, nel bilancio 2015. Sulle coperture lo studio di fattibilità è ancora in corso, ma sembra esclusa l'ipotesi circolata in questi ultimi giorni che ci si possa rifare agli introiti della voluntary disclosure, ancora troppo vaghi e concretamente poco quantificabili. Che gli arretrati debbano essere restituiti "a percentuale" sembra scontato anche guardando ai calcoli dell'Ufficio parlamentare di bilancio. I tecnici dell'Upb hanno valutato il peso dei rimborsi nel "peggiore scenario" per la finanza pubblica, con arretrati 2012-2014 che oscillerebbero tra i 3.000 e i 7.000 euro a pensionato. Si passerebbe infatti dai 3.000 euro per un pensionato "tipo" con un assegno mensile pari a 3,5 il minimo (1.640 euro circa) ai 7.000 per gli assegni di 9,3 volte il minimo. Con un esborso monstre per l'Erario ed anche con un'incongruenza di fondo. Se infatti i minori trattamenti ricevuti per effetto della deindicizzazione sarebbero stati tassati ad aliquota marginale di circa il 30% se percepiti anno per anno, oggi, in qualità di arretrati, sarebbero assoggettati ad una aliquota media pari a circa il 19%. Quindi il pensionato tipo che in passato ha perso potere d'acquisto per 2.100 euro, oggi ne recupererebbe circa 2.400 euro, ovvero una cifra superiore a quanto perduto.