ROMA. Fare presto, ma evitando errori (che poi possano incappare in altri stop) e distribuendo nel modo più equo possibile le (poche) risorse disponibili. Nel giorno in cui il premier Matteo Renzi per la prima volta interviene sulla 'mina-pensioni' innescata dalla sentenza della Corte Costituzionale i tecnici restano al lavoro per trovare la soluzione che tenga insieme il rispetto della Consulta e il minimo impatto sui conti pubblici, con un occhio a Bruxelles che, secondo la bozza delle raccomandazioni, promuove con riserva l'Italia in attesa del dettaglio delle misure. Misure che potrebbero arrivare già questa settimana, anche se dalle parole del premier è emersa cautela, meramente "elettorale" secondo le opposizioni: "Nei prossimi giorni verificheremo le carte, abbiamo appreso la sentenza il 30 aprile dalle agenzie di stampa, un buon viatico per l'1 maggio e ora ci prendiamo il tempo necessario per evitare di fare errori", ha detto Renzi, assicurando comunque che "i saldi non cambiano" rispetto agli impegni già presi con il Def.
E a stretto giro il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, al termine dell'Ecofin ha fatto sapere di essere in partenza per l'Italia proprio per studiare con i tecnici le ipotesi sul tavolo e parlarne di nuovo con il presidente del Consiglio, con cui poi si è confrontato a lungo. Obiettivo "chiudere questa questione il più presto possibile". Il ministro insiste sui tempi, un decreto entro "pochi giorni". Ma in molti hanno interpretato le parole di Renzi come una frenata, anche perché, spiega un dirigente vicino al premier, la fretta era dettata dal rischio che le raccomandazioni della Commissione potessero essere più penalizzanti. Visto che invece la Ue sembra concedere una apertura a Roma, nonostante l'avvertimento al rispetto del deficit e lo spettro di un nuovo rapporto sul debito, la necessità di fare prestissimo di fatto non c'è più - il tema intanto è al vaglio anche della missione del Fondo internazionale, che domani dovrebbe avere un incontro sul tema con la Ragioneria. In molti, anche nella maggioranza, continuano a ritenere difficile che il decreto possa essere varato già venerdì, quando il Consiglio dei ministri dovrebbe comunque fare un primo giro di tavolo sulla questione. Senza contare che il ministro dovrebbe andare a riferire in Parlamento solo martedì prossimo. In ogni caso, è una delle osservazioni dello stesso Renzi, la Consulta "dice che la mancata indicizzazione delle pensioni è incostituzionale" ma non "che bisogna pagare domani mattina tutto". Peraltro, ricorda il responsabile economico del Pd, Filippo Taddei, una applicazione 'meccanica' della sentenza sposterebbe "risorse ingentissime" - si parla di un costo complessivo di 9 miliardi netti per il pregresso - "ad un terzo dei pensionati più ricchi del Paese", circa 5 milioni, contro gli oltre 10 milioni incassano un assegno fino a 3 volte il minimo, che non erano stati interessati dal blocco dell'indicizzazione voluta dal governo Monti. Persone, ha aggiunto, che sì "hanno problemi" ma che non sono quelle più in difficoltà" o "disperate".
Insomma, già Renzi, come ha detto lui stesso, si è dovuto "rimangiare" il 'tesoretto', quel margine di 1,6 miliardi che si voleva destinare proprio alla fascia di popolazione più in difficoltà, ora quindi non è proprio il caso di ridare somme rilevanti a chi ne ha meno bisogno. I tecnici stanno mettendo a punto una griglia di soluzioni, con oneri diversi, anche se l'orientamento sarebbe quello di attestarsi su un intervento da 4, 5 miliardi al massimo, che potrebbero arrivare appunto dal tesoretto e dalla "voluntary disclosure", ancora mai cifrata, senza toccare così i saldi approvati da Bruxelles. E demandare alla legge di Stabilità il compito di definire la soluzione per il futuro. Sul 'passato' invece una delle ipotesi che circola da giorni, e che sta prendendo sempre più piede, è quella di prevedere il rimborso totale sui primi 1.500 euro di reddito pensionistico (fino a tre volte il trattamento minimo) a tutti. Ciò significherebbe comunque avere una progressività perché chi ha una pensione bassa avrebbe una indicizzazione alta, e viceversa. Tradotto in cifre, in sostanza, una pensione di 2.000 euro lordi avrebbe una rivalutazione pari a circa il 75% del suo assegno, chi ha una pensione da 3.000 euro un recupero dell'inflazione sulla alla metà del proprio reddito ecc. Però il monte complessivo di reddito che è stato escluso dall'indicizzazione nel 2012-2013 è di circa 171 miliardi, e quindi rimborsare tutti fino a 1.500 potrebbe essere troppo costoso. Da qui la possibilità che le pensioni più alte (il limite potrebbe essere messo a 5-6 volte il minimo, quindi a 2.500, 3.000 euro) potrebbero essere escluse da qualsiasi rimborso.
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