ROMA. È stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la sentenza della Corte Costituzionale che ha 'bocciato' il blocco degli adeguamenti pensionistici. Tecnicamente, il giorno dopo la pubblicazione in Gazzetta, la sentenza acquista efficacia.
«Nessuna decisione presa». È il leit motive che rimbalza da un palazzo all'altro del governo, alle prese con la 'bombà esplosa dopo la sentenza della Consulta sulle pensioni. Governo che è alla ricerca di una soluzione che tenga insieme il rispetto delle indicazioni della Corte Costituzionale - anche per evitare di incappare in nuovi stop in futuro - e la tenuta della finanza pubblica, sempre sotto la lente Ue, messa a dura prova da un 'contò che dovrebbe attestarsi, al netto, attorno ai 9-10 miliardi.
Sempre che si scelga la via, e questo è il vero nodo da sciogliere, di rimborsare tutto a tutti. Perchè sul punto l'unica certezza, al momento, è che la sentenza è «autoapplicativa», come spiegano giuristi e fonti vicine alla Consulta stessa. Il che significa che non ci sarà bisogno di fare ricorso per ottenere il rimborso del mancato adeguamento all'inflazione per il 2012 e il 2013 - e relativi effetti a cascata anche sugli assegni 2014 e 2015 - che i giudici costituzionali hanno dichiarato illegittimo. Insomma, al netto di un intervento del governo, dalla pubblicazione in Gazzetta ufficiale la sentenza sarà operativa, e la restituzione del pregresso sarà un obbligo. Proprio per questo nel frattempo il
governo sta studiando come modulare un intervento «proporzionale e progressivo», come chiede la Corte, ma che riduca il 'bucò dibilancio alle porte.
Di ora in ora, intanto, il dibattito si fa sempre più acceso, mentre anche dalla Ue il pressing diventa più serrato: il governo, è il monito, stia attento a «non compromettere il rispetto del Patto» di stabilità e dia priorità «alla sostenibilità dei conti pubblici». Si rispetteranno Consulta e Conti, ribadisce il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan, il quale assicura l'esecutivo sta «pensando intensamente sia agli aspetti istituzionali che di finanza pubblica». Per farlo, è la via indicata dal sottosegretario Enrico Zanetti, non vanno rimborsati tutti i pensionati, anche perchè farlo sugli assegni più alti sarebbe «immorale». Posizione che trova qualche sponda nel governo, dove alcune fonti fanno filtrare che l'idea di non restituire tutto a tutti «è compatibile con la sentenza della Consulta». Soluzione che però non trova d'accordo tutto il governo, e Renzi in primis, come in serata chiariscono fonti di Palazzo Chigi: la posizione del governo, fanno sapere, è quella espressa dal titolare di via XX Settembre e tutto il resto non corrisponde agli orientamenti dell'esecutivo. Alla base di tutto c'è un problema giuridico da sciogliere: di che natura siano le somme non corrisposte ai pensionati e se
non siano del tutto assimilabili allo stipendio (la sentenza parla di «retribuzione differita») e in quanto tale intangibili. E bisogna capire se non restituire queste somme a una parte dei pensionati, attraverso un provvedimento emesso dopo la sentenza della Consulta, non esponga ad altri rischi di ricorsi e pronunce di incostituzionalità. Peraltro non restituire il pregresso a chi percepisce pensioni alte, osservano alcuni, non risolverebbe il problema dell'impatto sui conti, visto che la maggior parte dei pensionati che non hanno avuto l'adeguamento Inps in questi anni si colloca nella fascia tra 3 e 5 volte il minimo (le pensioni fino a 3 volte il minimo non erano coinvolte).
Una delle ipotesi al vaglio resta però quella di agire per scaglioni, sulla falsariga della norma Letta attualmente in vigore. Ma c'è anche chi caldeggia la soluzione precedente al Salva Italia, che agiva sulle fasce, più progressiva ma anche più onerosa. In pista resterebbe comunque anche l'idea di un intervento, un decreto, per differire l'entrata in vigore, e quindi gli effetti, della sentenza della Corte, e avere così più tempo per mettere a punto
un meccanismo che sventi il rischio di nuove azioni legali. A complicare ulteriormente un quadro già caotico starebbe per arrivare poi, secondo indiscrezioni di stampa, una bocciatura da Bruxelles dell'estensione dell'inversione contabile dell'Iva alla grande distribuzione. Misura che vale 700 milioni di euro e che prevede, in caso di stop Ue, una clausola di salvaguardia equivalente sulle accise. Sulla reverse charge, chiarisce ancora
Padoan, «intanto vediamo cosa dirà la Ue. Ne prenderemo atto. Comunque c'è l'impegno del governo ad eliminare tutte le clausole di salvaguardia».
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