BRUXELLES. Gli oceani sono la settima economia mondiale, avviata però al declino. A fare due conti e a stilare il bollettino sullo stato di salute è uno studio del Wwf, prodotto in collaborazione con il Global Change Institute dell'Università di Queensland e con il Boston Consulting Group. Secondo una stima 'prudente' i mari del Pianeta hanno un valore economico di almeno 24mila miliardi di dollari, con un Pil annuo in termini di beni e servizi di 2.500 miliardi di dollari, cioè subito dopo Usa, Cina, Giappone, Germania, Francia e Gran Bretagna e prima di Brasile, Italia, Russia e India. Invece di prosperare però sono a rischio collasso, a causa di sovrasfruttamento, uso sconsiderato e cambiamenti climatici. «Gli oceani sono in grado di competere con i Paesi più ricchi del Pianeta, ma viene consentito che sprofondino ai livelli di un'economia in fallimento» ha commentato Marco Lambertini, direttore generale del Wwf International. «Come azionisti responsabili, non possiamo aspettarci seriamente di continuare ad estrarre le sue risorse senza investire nel suo futuro» spiega Lambertini. L'Unione europea ha le sue responsabilità, in quanto maxi-consumatore delle risorse della cosiddetta 'economia blù. «Oceani in salute sono cruciali per l'economia dell'Europa e per il benessere della popolazione» sottolinea Toney Long, direttore dell'ufficio europeo del Wwf, che ricorda quanto i mari siano importanti non solo per le comunità che dipendono dalla pesca nel Vecchio Continente, ma anche per quelle del resto del mondo. «Non dovremmo dimenticare - afferma Long - che l'Ue è il più grande mercato mondiale di prodotti ittici e il quarto produttore globale nei settori della pesca e dell'acquacoltura: gli oceani sono una parte centrale delle nostre economie e della nostra vita quotidiana». Secondo il rapporto, oltre due terzi del valore annuale dei mari del Pianeta dipende da buone condizioni di salute. Ma la prognosi attuale è negativa, la settimana economia mondiale sta perdendo le sue risorse chiave: il 90% degli stock di pesce sono sfruttati in toto (61%) o al di sopra delle possibilità (29%). In generale sono proprio le specie marine che non se la passano troppo bene, registrando un declino del 39% solo fra il 1970 e il 2010, stando al Living Planet Index, basato sul trend di oltre 900 specie marine, fra mammiferi, uccelli, rettili e pesci. Al drammatico bollettino bisogna aggiungere poi che la metà dei coralli sul Pianeta è ormai scomparsa, così come un terzo della vegetazione marina, mentre il ritmo di deforestazione delle mangrovie è tre-cinque volte superiore a quello delle foreste. L'Europa insomma «deve fare un lavoro decisamente migliore nel tutelare queste risorse marine preziose, che spesso diamo per scontate e si stanno deteriorando, a nostro rischio e pericolo» conclude Long.