ROMA. Matteo Renzi non ama chiamarlo «tesoretto», ma dal cappello del Def, approvato in via definitiva in tarda serata dal consiglio dei ministri, spuntano nuove risorse per 1,6 miliardi di euro. Il «bonus» (questo il nome scelto dal governo) era in realtà già scritto tra le righe nelle tabelle del Programma di stabilità, messo a punto ed esaminato dal Cdm martedì scorso, ma solo oggi è salito a galla. Per conoscerne la destinazione bisognerà però attendere ancora «qualche settimana», anche se qualcosa è già trapelato. O quantomeno può essere intuito dalle dichiarazioni di molti esponenti del Pd, da Roberto Speranza a Filippo Taddei a Cesare Damiano. Il premier le ha definite solo «ipotesi», ma la più accreditata è quella di un possibile intervento sul welfare.
Magari con un sorta di 80 euro anche per gli incapienti, uno dei progetti a cui il governo ha sempre tenuto di più, ma che per carenza di risorse non è riuscito finora a realizzare. Oppure con una misura specifica sulla povertà e un equivalente del «reddito di cittadinanza» voluto dal Movimento 5 Stelle. Certo il Def punta a spingere la crescita, con interventi sui cittadini. Renzi lo ribadisce: «Non ci sono tasse nuove, anzi è finito il tempo delle tasse da aumentare. È un punto fondamentale, chiaro, centrale per il Paese. Dobbiamo far sì che i sacrifici non li facciano più i cittadini, semmai qualche politico o amministratore a vari livelli». Il «bonusDef», come è stato ribattezzato su Twitter, arriva dal margine di manovra che il governo si è voluto volontariamente lasciare sul deficit di quest'anno. Il quadro tendenziale a legislazione vigente evidenzia infatti nel 2015 un rapporto deficit/Pil del 2,5%.
Tuttavia, il quadro programmatico, quello cioè a cui punta l'esecutivo, riporta un indebitamento pari al 2,6%. Quello 0,1% equivale proprio a circa 1,5/1,6 miliardi di euro. La stessa cifra di cui - forse non casualmente - ha parlato poche settimane fa il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, annunciando entro giugno uno specifico ed autonomo «piano anti-povertà». La destinazione delle risorse non è infatti materia di scelta immediata. «Non è nel Def che si decide», ha chiarito il presidente del Consiglio. Nel Documento quelle risorse vengono conteggiate e «rese disponibili» per quest'anno. Ma il loro impiego dovrebbe, ma anche qui il condizionale è d'obbligo, essere definito in un decreto ad hoc. Lo slittamento del cdm dalle 10 del mattino alle 8 di sera aveva creato particolare suspense. Un «giallo» che però sia Delrio in mattinata che lo stesso Renzi in serata hanno cercato di smontare. Le motivazioni del rinvio sarebbero infatti nella necessità di limare e correggere i testi fino all'ultimo prima del passaggio alle Camere.
Intanto, il popolo della rete ha approfittato dell'hashtag #bonusdef per stilare la sua lista dei desideri: c'è chi destinerebbe le risorse ad asili nido e al sostegno alla maternità, chi ai disabili e alle associazioni del terzo settore, chi alla ricerca, chi alla ricostruzione de L'Aquila, chi all'occupazione giovanile, chi all'edilizia popolare, alle partite Iva o alle famiglie. Tutti i settori di intervento che sono stati in qualche modo in questi mesi presi in considerazione dal governo, che, nella sua lista di desideri, ha però sempre indicato anche l'estensione degli 80 euro agli incapienti, rimasti fino ad oggi esclusi. La misura costerebbe tra 1,5 e 2 miliardi e potrebbe rientrare dunque tra le possibilità in esame. Così come la concessione di un assegno «popolare» o di «inclusione» per i poveri, che - in clima pre-elettorale - permetterebbe di sorpassare a sinistra sia i 5 Stelle che la minoranza Pd legata a Pippo Civati e al suo «reddito minimo». Dopo le rassicurazioni arrivate ai Comuni, intanto, anche le Regioni sono scese in campo chiedendo un incontro al governo subito dopo l'approvazione del Documento. Renzi ha ribadito che di tagli agli enti locali nel Def non ce ne sono, così come non compare alcun aumento delle tasse, ma se sarà necessario un incontro ci sarà. Quello che nel Documento invece c'è, ma che andrà via via assottigliandosi è la lista delle riforme: la p.a., che però «sparirà», la legge elettorale «che però sparirà», il fisco, anche questo destinato a scomparire. Martedì 21 aprile, ha annunciato infine il premier, arriveranno infatti in cdm la prima tranche di decreti fiscali, seguiti dalla seconda a giugno.
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