Giovedì 19 Dicembre 2024

La nostra sanità paziente speciale tra piani di rientro e posti letto in meno

La drammatica vicenda della neonata siciliana deceduta (forse) per un mancato ricovero, avrebbe potuto dare il via ad un dibattito sulla Sanità siciliana, sui suoi deficit, sui suoi ritardi. Anche questa volta però non è andata così ed il confronto è stato puntualmente buttato in gazzarra politica, ridotto ad un becero regolamento di conti tra fazioni. È grave che questo accada in un comparto che riguarda la più delicata delle materie (la salute umana) e dove si concentra più della metà delle uscite di cassa della Regione Siciliana (quasi nove miliardi di euro all'anno). Il Rapporto 2014 curato dalla Bocconi e dal Cergas sul sistema sanitario italiano, offre uno spaccato di grande interesse e permette di «leggere» un sistema nel quale i luoghi comuni si affastellano con una facilità impressionante e che in molti però continuano a considerare il migliore del mondo. Se potessimo commissionare un sondaggio sulla sanità italiana, con molta probabilità le due parole più ricorrenti sarebbero: «tagli» e «ticket». È sorprendente quindi scoprire che i primi è come se non ci fossero mai stati e che i secondi rappresentano una minuzia rispetto ai volumi complessivi della spesa. I numeri non mentono. Nel 2006, alla vigilia della grande crisi, la spesa sanitaria nazionale assorbiva poco meno di cento miliardi di euro. Nel 2013 abbiamo superato i 113 miliardi. Nel 1990 si spendevano circa 60 miliardi di euro all'anno per la salute degli italiani; da allora la spesa non ha mai cessato di crescere e soltanto nel 2012 e nel 2013 ha avuto una crescita zero ed ha smesso di generare disavanzi. Ed andiamo al secondo dei luoghi comuni; non c'è italiano che non sia intimamente convinto che i ticket (sulla farmaceutica, sulla specialistica e sul pronto soccorso) abbiano fatto saltare il principio della sanità gratuita. Eppure tra il 2007 ed il 2013, malgrado il raddoppio dei ticket pagati dai pazienti, siamo passati in Italia da 1,6 miliardi di euro a 3 miliardi. Su un totale di 113 miliardi di spesa sembra davvero una voce modesta. Il problema è che gli esenti sono eserciti e spesso non si capisce perché. Ma allora è tutto un bluff? In realtà le cose non stanno proprio così. Della spesa possiamo dire che le varie manovre nazionali e regionali sono servite solo a rallentare la crescita ma non certo a farla diminuire. Anche se gli interventi non sono stati da poco; le retribuzioni del personale, infatti, sono ferme da cinque anni, chi va in pensione non viene sostituito, la spesa farmaceutica si è ridotta e sono stati ridimensionati i costi unitari per beni e servizi. Ora, se ci trovassimo in un sistema perfetto, si riuscirebbe a rendere più efficiente il sistema, dando gli stessi servizi con meno soldi. Ma non è ovunque così; il risultato è che si sta riducendo la copertura dei bisogni sanitari in alcuni ambiti di cura ed in alcune parti del Paese. Si «soffre» di più nella odontoiatria, nelle malattie psichiatriche, nelle forme di dipendenza e nell'area della non autosufficienza. Si soffre di più al Sud. Dobbiamo considerare che partivamo da profonde differenze tra nord e sud e che tali differenze certo non sono state colmate. In Sicilia ad esempio il blocco del turn over del personale andato in pensione ha portato ad una riduzione degli addetti che risultano il 16% in meno rispetto al 2006. Se a questo si aggiunge la pletora di piccole e piccolissime realtà ospedaliere, diventa più facile cogliere il perché di certe defaillance nella capacità di risposta. Per non parlare della sensibile massa di debiti accumulata in sanità, che i Siciliani sono chiamati a ripianare per decenni con un perdurante aggravio di imposte. Tra l'altro non si può ignorare che la Sicilia è una di quelle regioni in piano di rientro dai debiti pregressi ed ha quindi dovuto garantire un maggiore sforzo di contenimento della spesa e subire un taglio del personale che, a causa dei pensionamenti, ha sguarnito in maniera casuale i presidi sanitari; dove poco, dove molto. Eppure quando il Parlamento ha varato l'ennesimo mutuo per ripianare i debiti si è alzata soltanto la voce dell'assessore Borsellino che ha coraggiosamente denunciato la «distrazione» di somme destinate alla sanità. Non una parola sul perché, non una parola sui rimedi per il futuro. L'indagine della Bocconi ci riporta alla cronaca drammatica di questi giorni con i dati sui posti letto e sulle strutture di emergenza. Il tetto nazionale è di 3,7 letti ogni mille abitanti; mentre nel centro nord questo parametro viene spesso superato, nel sud non viene raggiunto. In Sicilia i dati evidenziano tra 1.500 e 2.000 posti letto in meno. Anche le aree di emergenze testimoniano le carenze della Sicilia. In termini di pronto soccorso la Sicilia risulta dotata nel 90% dei centri di ricovero; un valore molto più alto della media nazionale (non si direbbe!), ma presenta pesanti lacune nei Dipartimenti di Emergenza, presenti nel 32% dei centri di ricovero rispetto al 55% della media nazionale e nei pronto soccorso pediatrici, dove la differenza è vistosa: il 15% delle strutture nazionali ne è dotata e soltanto il 9% delle strutture siciliane. Più bassa risulta anche la dotazione dei centri di rianimazione. Con riferimento al caso della bambina catanese deceduta, il ministro Lorenzin ha dichiarato alla Camera che la Sicilia dovrebbe avere 80 posti letto nelle unità di terapia intensiva neonatale e ne invece 114. Ancora più sconfortante. Il cahier de doleance siciliano registra altri fenomeni che all'occhio del profano risultano inspiegabili. La Sicilia conta più medici della media italiana e meno infermieri. I medici sono il 60% del totale del personale in Trentino ed il 72% in Sicilia (la regione più affollata insieme alla Campania); di contro ci sono 3,5 infermieri per ogni medico nel Trentino ed in Veneto ed appena 2,5 in Sicilia. Si contano anche più medici e più pediatri convenzionati rispetto alla media; c'è un pediatra ogni 890 bambini in Sicilia, mentre nelle regioni del nord si superano i 1.100 assistiti per medico. Resta infine il «buco nero» dell'assistenza domiciliare integrata che in Sicilia interessa appena 509 pazienti ogni cento mila abitanti, rispetto ai 2.613 dell'Emilia Romagna ed ai mille della media nazionale. Sono questioni, è agevole capirlo, che toccano tutti i siciliani, ma che sono soverchiate dal tourbillon di nomine ed incarichi e celate tra beghe e scontri politici. Peccato.  

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