ROMA. «Sfiduciato» anche se «ricco di risorse e potenzialità», con «i motori al minimo»: è il Sud ritratto dal «check-up Mezzogiorno» di Confindustria e Srm (Studi e Ricerche per il Mezzogiorno, gruppo Intesa Sanpaolo). Nei primi 9 mesi del 2014 hanno chiuso i battenti 88mila imprese meridionali, «ad un ritmo di 326 cessazioni al giorno». Il bilancio di 7 anni di crisi: «40 mila imprese in meno, investimenti in calo di 29 miliardi, quasi 700 mila posti di lavoro perduti, Pil in calo di oltre 51 miliardi». «Per la ripresa» nel Mezzogiorno è ora necessario, «recuperare la fiducia e rilanciare gli investimenti», avverte il rapporto di via dell'Astronomia; che sottolinea l'allarme lavoro: al Sud «quasi una persona su due ha rinunciato a cercare un lavoro regolare». «Si chiude con pochissime luci e molte ombre il settimo anno di crisi per l'economia del Mezzogiorno che, anche per il 2014, fa registrare il segno meno nella gran parte degli indicatori»: l'indice sintetico del check-up elaborato da Confindustria e Srm «è infatti ben al di sotto del dato di partenza del 2007, ed in calo ulteriore rispetto al minimo già registrato nel 2013». Pesano il calo degli investimenti, il Pil bruciato,l'occupazione persa («con il numero degli occupati ben al di sotto della soglia psicologica dei 6 milioni, ed un tasso di disoccupazione che ha sfondato il tetto del 20%). Le imprese che chiudono »non sono compensate dalle nuove iscrizioni: il saldo del 2014 vede, infatti, 10 mila imprese in meno. Le sofferenze bancarie sono ormai ben oltre quota 36 miliardi di euro. Le imprese che restano vedono erodere il loro fatturato (-1,8%), la loro redditività (RoI ridotto di oltre 3 punti dal 2007) e i loro margini, anche per effetto dell'aumento della pressione fiscale: le imprese in perdita nel Mezzogiorno sono circa un terzo del totale, e il 5,5% di loro è in perdita dopo il pagamento delle imposte«. Il rapporto sottolinea con un dato Bankitalia quanto il fisco sia »sempre più opprimente«: al Sud nel 2011-12 »le entrate fiscali sono aumentate dell'1,7% l'anno«. L'export "si conferma la principale variabile positiva dell'economia meridionale (+2,7% rispetto al dato pre-crisi del 2007)" ma "sta conoscendo negli ultimi mesi un preoccupante rallentamento". Tra i segnali positivi, "continua a crescere il numero delle società di capitali (+4,4% nell'ultimo anno, nonostante il calo delle imprese attive), come il numero delle start up (+45,6% nella sola seconda parte del 2014); crescono le imprese in rete (oltre 2.200) e cala per la prima volta il numero medio delle società con almeno un protesto nell'anno. Domanda e offerta di credito tendono a stabilizzarsi". Segnali che però "non sono ancora sufficienti ad invertire la tendenza, anche perchè concentrati in alcune aree e con numeri ancora troppo esigui e, soprattutto, non supportati da una azione pubblica convintamente anticiclica, se si eccettua l'effettivo saldo di buona parte dei debiti della P.a verso le imprese". Tra il 2009 e il 2013 "la spesa in conto capitale nel Mezzogiorno si è ridotta di oltre 5 miliardi di euro, tornando ai valori del 1996". Pesa il clima di fiducia che »è tornato purtroppo a calare«, spiegando così »il basso livello di investimenti privati nonostante la liquidità non manchi ai principali gruppi bancari« grazie al funding agevolato della Bce. Quella del Mezzogiorno »oltre che una crisi economica e sociale, sembra essere sempre più una crisi di sfiducia, in cui le imprese non investono, i giovani se ne vanno, perfino le poche risorse pubbliche per investimenti non si riescono ad utilizzare: ad un anno dalla chiusura del ciclo di programmazione 2007-13, restano infatti ancora da erogare ben 14 miliardi di euro«. Così »torna ad allargarsi il divario nel Pil procapite, pari a poco più del 56% di quello del Centro-Nord: in valori assoluti, pari a circa 13 mila euro in meno«. Per ripartire serve "uno stimolo esterno": "L'esclusione delle spese di investimento, in particolare di quelle finanziate da fondi strutturali europei dal calcolo europeo del deficit, appare sempre più la chiave di volta per rimettere in moto investimenti da troppo tempo bloccati e per ridare ai bilanci pubblici spazi di manovra senza i quali nessuna fase espansiva appare ipotizzabile". La vera sfida "è costituita da una selezione attenta e mirata degli investimenti pubblici e privati", "è la stessa sfida del Piano Juncker", "da giocare prima di tutto al Sud".