Ogni giorno in Italia chiudono complessivamente 260 esercizi commerciali. Un bollettino di guerra quello diramato da Confcommercio. È stato emesso alla fine di questo brutto 2014 che passerà alla storia come il quarto anno consecutivo di recessione. Una serie nera senza precedenti in tempo di pace.
Il dato diventa ancora più preoccupante nel Mezzogiorno dove il ritmo delle chiusure aumenta a ritmo incalzante. La Sicilia contribuisce al totale nazionale con quasi 27 decessi giornalieri. Circa il 10% del totale. Bastano queste cifre per capire la profondità della crisi. Dopo sette anni di decrescita (di cui quattro consecutivi) l'economia italiana si è avvitata.
In particolare nel Mezzogiorno dove si sono stratificate tre criticità. Una specie di videogame dove ogni nuovo mostro è più brutto e feroce del precedente: c'è la slavina degli esercizi pubblici testimoniata da Confcommercio cui si aggiunge il terremoto dell'industria privata piccola e grande (Gela, Termini, l'Ilva di Taranto) e infine le incrinature che si cominciano a vedere anche nelle torri di cemento armato del pubblico impiego. Qui il posto resta al sicuro. Lo stipendio un po' meno e comunque cristallizzato dalla lunga vacanza contrattuale. Di fronte a questa situazione la spirale diventa spaventosa perché l'abisso chiama l'abisso. La caduta dei redditi fa scendere la domanda e quindi ci sono più disoccupati e meno soldi a casa.
Per rompere la spirale serve un intervento radicale che restituisca volume ai consumi. Interventi incisivi. Non solo quelli utili ma simbolici contenuti nella Legge di Stabilità (bonus bebè e 80 euro alle famiglie, taglio dell'Irap, abolizione dei contributi ai nuovi assunti). Occorre un deciso taglio delle tasse per far ripartire la domanda. Più soldi da lasciare nelle tasche degli italiani. Come fare? La riduzione delle tasse presuppone un cospicuo taglio delle spese e degli sprechi. Le forbici, però, fanno male e nessuno vuole soffrire. Per schivarle entrano in azioni le lobby, i parassiti, gli interessi corporativi che sarebbero impoveriti dal taglio della spesa improduttiva. Così non succede nulla o molto poco. La ripresa stenta a partire e, nella migliore delle ipotesi, resterà confinata allo zero virgola qualcosa. Vuol dire che, senza un'assunzione complessiva di responsabilità in direzione della crescita avremo nel 2015 un'economia che dalla recessione passerà alla stagnazione. Non proprio un successo a ben vedere.
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