Domenica 17 Novembre 2024

Crisi in Italia, l'Ocse: "In tre anni sono aumentate le disparità sociali"

PARIGI. La crisi ha ampliato il fossato tra la fetta più ricca e quella più povera della società, in tutte le economie avanzate, e questo ha conseguenze negative, «quantificabili e significative», sulla crescita. È quanto sostiene un rapporto Ocse, che invita i governi a impegnarsi in politiche di redistribuzione della ricchezza, soprattutto per evitare la marginalizzazione delle fasce più deboli. In Italia, in particolare, il reddito disponibile per il 10% più povero della popolazione è un decimo di quello del 10% più ricco. A fine 2011, dicono i dati Ocse, la fascia meno abbiente guadagnava il 2,4% del reddito totale nazionale, contro il 24,4% dei più abbienti. Anche ampliando la fascia considerata, il divario rimane evidente: il 20% più povero dispone di appena il 7,1% del reddito nazionale, contro il 39,9% del 20% più ricco. La crisi, inoltre, ha contribuito ad aumentare questa distanza. Tra il 2008 e il 2011, rileva ancora l'Ocse, le famiglie italiane hanno perso in media l'1,5% di reddito disponibile all'anno, ma questa contrazione non è stata equamente distribuita. Il decile più povero ha perso il 3,9% ogni anno, mentre quello più ricco appena lo 0,8%. Queste disparità, sottolinea l'Ocse, non sono negative solo per la coesione sociale e la qualità della vita, ma anche per la crescita economica, in Italia come in tutti i Paesi occidentali. Negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, per esempio, negli scorsi due decenni «la crescita avrebbe potuto essere di un quinto più elevata se le disparità non fossero aumentate».  Per scongiurare questo effetto negativo, secondo l'organizzazione parigina, gli interventi devono essere duplici. Da un lato, il sostegno diretto al reddito delle fasce già svantaggiate, sia tramite sussidi sia tramite la realizzazione di un sistema fiscale che favorisca la redistribuzione della ricchezza tra i vari strati sociali. A questo si deve poi aggiungere un intervento sull'accesso ai servizi pubblici, e in particolare all'istruzione e alla sanità. Il che significa, per esempio, contrastare l'effetto negativo della perdita di reddito disponibile delle famiglie più povere sulla riuscita scolastica dei figli, che rischia di «annullare gli effetti positivi ottenuti con gli incentivi» economici.

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